È morto Silvio Berlusconi

Si è spento all’ospedale San Raffaele di Milano dove era stato ricoverato il 5 aprile 2023

ROMA – Silvio Berlusconi è morto. Il Cavaliere si è spento questa mattina all’ospedale San Raffaele di Milano dove era stato ricoverato il 5 aprile 2023 per una leucemia acuta con complicanze polmonari e cardiache. Aveva 86 anni.

SILVIO BERLUSCONI, LA VITA

Era nato a Milano il 29 settembre 1936, da Luigi, impiegato e poi dirigente di banca e Rosa Bossi, segretaria alla Pirelli e poi casalinga. Maturità classica ai salesiani e laurea in Giurisprudenza con 110 e lode. Due matrimoni, Carla Dall’Oglio e Veronica Lario, 5 figli, due fidanzate, Francesca Pascale e Marta Fascina, 16 nipoti, una bisnipote. Imprenditore a partire dagli anni 60, prima nel settore immobiliare (Milano 2 e Milano 3 l’apice del successo), poi nel settore dei media: nel 1978 fonda Fininvest e nel 1993 Mediaset dove convergerà anche Mondadori. Nel 1985 e per i 20 anni successivi è presidente del Milan Calcio, nel 2018 del Monza. Dal 1993 entra in politica e fonda Forza Italia. E’ 4 volte presidente del Consiglio, 3.339 giorni in carica, record nell’Italia repubblicana. Prima di lui solo Giovanni Giolitti e Benito Mussolini. Deputato per 4 legislature, senatore per due, parlamentare europeo e presidente del Consiglio Europeo. Più di trenta procedimenti giudiziari a suo carico: una sola condanna definitiva per frode fiscale, appropriazione indebita e falso in bilancio (processo Mediaset) nel 2013, con 4 anni di reclusione trasformati in affidamento ai servizi sociali, l’interdizione ai pubblici uffici e la decadenza da senatore. L’esito degli altri processi: 8 prescrizioni, 2 amnistie, 10 archiviazioni, 10 assoluzioni. Il 16 febbraio 2023 l’ultima assoluzione nel processo RubyTer. Nel 2018 lui dichiara: “Mi è costato 770 milioni pagare 105 legali che mi hanno assistito, con oltre tremila udienze”. Sempre nel 2018 viene ‘riabilitato’ e nel 2019 eletto al Parlamento europeo, Nel 2022 torna in Senato e si candida alla Presidenza della Repubblica. Patrimonio stimato da ‘Forbes’ nel 2023: 6,8 miliardi di dollari, è il terzo più ricco d’Italia dopo Giovanni Ferrero e Giorgio Armani. Questa la fredda biografia, con i numeri che già raccontano un romanzo. Poi c’è il mito: forza fisica, carisma e potere, successo e invincibilità, cinismo e simpatia gli ingredienti base. Lui “è tecnicamente immortale”, dice nel 2004 il suo medico di allora Umberto Scapagnini, quando il mito del Cav. già corre e va ben oltre la parabola politica, sconfina nel costume, nella cultura di massa, alimentato da lui stesso, protagonista di una commedia all’italiana fatta di indimenticabili travestimenti, le bandane, i capelli finti, i lifting, il presidente operaio, ferroviere, partigiano, i trucchi, i tacchi rialzati, le inquadrature giuste (‘meglio il lato destro della faccia’, raccomandava sempre agli operatori), i ‘mi consenta’, le corna nei ritrovi internazionali, i cucù alla Merkel e l’Obama ‘abbronzato’, lo Schulz kapò, la Bindi ‘più bella che intelligente’, la sedia spolverata dove si era seduto Travaglio nello studio di Santoro, Apicella e le barzellette, il Predellino, il contratto da Vespa, i Bunga bunga, il lettone di Putin, le ville stratosferiche, il mausoleo di famiglia. Fu lo stesso filosofo Lucio Colletti, fra i primi intellettuali convinti della novità storica del berlusconismo a candidamente pronosticare: “Secondo me finisce tutto in una commedia leggera”. Ma non erano solo pose macchiettistiche le sue, simpatiche uscite di alleggerimento di un gravoso impegno politico, sono biografia essenziale per capire chi è stato Silvio Berlusconi. L’imprenditore e il commediante hanno partorito e si sono messi al servizio del politico dettandogli barzellette e programmi elettorali, allestendo casting per la scelta della sua squadra politica, che trasloca dai varietà al Parlamento, infilando in un prodigioso frullatore campagne pubblicitarie, leggi finanziarie, leggi ad personam, discorsi parlamentari, un milione di posti di lavoro, liberalismo e narcisismo, visione politica e interessi di parte, con il politico che, a sua volta, si è messo al servizio dell’imprenditore. Tutto si tiene con Berlusconi, non si butta via niente perché tutto serve a consolidare il mito e il consenso che lo ha foraggiato per anni, consentendogli di cambiare l’Italia ma anche di curare i suoi interessi. Lui è l’eroe, il demone, lo statista e il commediante, che sembra fare cucù anche alla sua immagine ipertrofica, esaltando gli adoranti e incattivendo gli odiatori. Dalla nascita dei primi ‘club’ azzurri, fu subito chiaro che niente sarebbe stato più come prima in Italia, le vecchie sezioni di partito diventarono archeologia politica immediatamente, si moltiplicarono slogan prima inconcepibili, risuonarono colonne sonore, canzoncine e… ‘Meno male che Silvio c’é’. Fin dall’inizio, furono mazzate alla Prima Repubblica, a partire dal nome e dal logo scelto per il partito, ‘Forza Italia’, altro che Dc, Pci, Psi. Due parole che non connotano, ma eccitano ed esortano. Due parole che contengono già tutta la potenza del berlusconismo: c’è il calcio e la tifoseria da stadio, c’è ‘La forza di un sogno’, con il tricolore che sventola gagliardo nell’azzurro del cielo. E ancora di più c’era nel set allestito per la discesa in campo, nove minuti a reti unificate, postura, ambientazione, mimica facciale, abito, tutto studiatissimo. ‘L’Italia è il Paese che amo..’ diventa un mantra e polverizza la ‘gioiosa macchina da guerra’ di Occhetto. I comunisti, che avevano abbandonato nome e falce e martello, nel frullatore mediatico di Berlusconi tornano ad essere quelli pericolosissimi che mangiano i bambini, che minacciano tutte le istituzioni, infiltrandosi ovunque, a cominciare dalla magistratura. E il Pci, grazie alla demoniaca narrazione berlusconiana, resiste come stigma nell’immaginario collettivo, ben oltre la Bolognina. Forza Italia all’inizio sembrava un mero esperimento di marketing nato in laboratori pubblicitari e televisivi. Una gestazione rivendicata da Berlusconi stesso, che disse a Giuliano Ferrara: “Vorrei che l’Italia funzionasse come la Fininvest”. Proprio Ferrara, altro intellettuale inebriato dalla novità azzurra, amico personale e ministro del Cav, anche se adorante critico (“gli ho scritto mille volte che era un egomaniaco peggiore di Kim il Sung, lo chiamavo Cav.il Sung”), fu tra i primi a intuire invece la rivoluzione di Silvio Berlusconi: “Ha cambiato l’Italia in modo irreversibile, in politica, nei costumi e nello sport”. Benzina nel fuoco degli odiatori. Eugenio Scalfari tracciava un giudizio storico di tutt’altro segno: “Berlusconi – diceva – appartiene a quel genere di uomini che fanno la fortuna di un’impresa e la rovina di un paese, quel genere di uomini pericolosi per definizione”. E già nel 1994 il direttore di Repubblica aprì il balletto dei soprannomi impietosi definendolo ‘Il ragazzo Coccodé’, per poi un anno dopo affinare il giudizio affibbiandogli il soprannome brechtiano di Mackie Messer, il ‘pescecane’ dell’Opera da tre soldi che ‘ha il coltello ma non lo fa vedere’. Poi arrivarono libri, film, il Berlusconi caimano, che “ha vinto perché ci ha cambiati”, come diceva Nanni Moretti già nel 2006. E ancora prima della discesa in campo Giorgio Gaber aveva avuto la vista molto lunga: “Io non temo Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me”, diceva citando il cantautore Alloisio e capendo subito la portata dell’avvento del Cav. nel costume e nella psicologia collettiva. Insomma Berlusconi è stato tanta roba, ha congestionato l’Italia per più di 30 anni e tutti noi. La storia politica, quella da consegnare ai posteri, dovrà registrare la portata innovativa della discesa in campo di Berlusconi. Con lui cominciano la seconda Repubblica, il bipolarismo, il centrodestra e l’alternanza, con un sistema maggioritario ormai invincibile. Anche qui rivoluziona tutto Berlusconi, spariglia e sposta, Fini molla i fascisti, l’Msi e diventa la destra presentabile di Alleanza nazionale, Bossi e la Lega viaggiano dalla Padania alla Sicilia, molti ex Dc e i più craxiani del Psi convergono in Forza Italia, Popolo delle Libertà, Casa delle libertà dove la libertà diventa motore ideologico ma anche un ‘liberi tutti’, un calderone che fa a pezzi perfino il senso del pudore, dove si può sostenere, in un severo e accorato discorso parlamentare, che Ruby Rubacuori fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak, dove un voto di sfiducia finisce a mortadella e champagne, dove il ‘Meno tasse per tutti’, più che sortire politiche fiscali, sdogana gli evasori facendoli sentire più furbi che stronzi, dove una squadra di abilissimi avvocati parlamentari la mattina seguono i processi nei tribunali e il pomeriggio aggiustano leggi nelle commissioni parlamentari. Con le tifoserie a bordo campo che danno le pennellate più decise al grande affresco berlusconiano, superando il maestro stesso, che invece sa moderarsi più di loro, sa farsi ‘concavo e convesso’, ordina colpi di mano in Parlamento ma sta saldamente nel Partito popolare europeo, demonizza le opposizioni ma poi fa la Bicamerale con D’Alema e il Patto del Nazareno con Renzi e sostiene tutti i governi tecnici per amor di patria. Anche fuori dall’Italia Berlusconi è controverso: ‘Burlesquoni’ lo appellano i francesi e l’immagine dei risolini di Merkel e Sarkozy è rimasta nella storia, potente come la foto del vertice Nato del 2002 a Pratica di Mare, dove lui agevola la stretta di mano fra Bush e Putin, con l’ambizione di porre fine a più di 50 anni di guerra fredda. La vita e la carriera ‘burlesque’ di Berlusconi hanno messo radici profonde ovunque. A Londra il ‘Sun’ dava notizia del suo ultimo ricovero al san Raffaele appellandolo ‘il primo ministro play boy’. E il capitolo donne, con i suoi bunga bunga e le sue Olgettine hanno colpito l’immaginario collettivo in Italia e in tutto il mondo come se non più delle sue rivoluzioni politiche. Fu la moglie Veronica Lario che aprì questo capitolo nel 2009, dolorosamente: “Non posso stare con un uomo che frequenta minorenni, figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica” scrisse in un’accorata lettera pubblica dove annunciava l’intenzione di separarsi. Aveva già detto tutto la Lario anche se allora era apparsa alle cronache solo la diciottenne Noemi. Ruby, i bunga bunga, le olgettine e il resto vennero dopo. Aveva detto e visto già tutto la Lario, la sua irruzione sulla scena politica evocando la maniacalità sessuale del marito fu traumatica ma fu presto esorcizzata e digerita da Berlusconi con l’ennesima giravolta mediatica: il malato di sesso diventa un fascinoso e spregiudicato play boy che manda in deliquio le donne. E così la macchina del consenso non si ferma fino al fatidico 12 novembre 2011, con la sua provvisoria uscita di scena. Intanto Berlusconi passa il testimone ai figli della sua ‘rivoluzione’ che non ha generato solo il maggioritario e l’alternanza ma anche il leaderismo e il populismo. Non a caso il comico Grillo fa incetta di voti con i ‘vaffa’ delle piazze, diventa maggioranza in Parlamento e, dopo le mortadelle, inaugura il tempo delle scatolette di tonno. E Matteo Renzi, seppur dal polo opposto, costruisce sulla sua figura di leader un’altra parabola politica, fondando un altro partito personale ,che sembra ricevere marchio di fabbrica e gradimento ad Arcore. Il berlusconismo però continua a star bene anche quando Berlusconi declina. Il consenso negli anni scende ben sotto il 10%, ma il Cav, dopo la riabilitazione, ripiomba sulla scena politica, torna in Senato nel 2022 e spiazza tutti con la sua candidatura alla Presidenza della Repubblica. Sembra riattivarsi la dinamica pubblicitaria e mediatica della ‘discesa in campo’, ma stavolta è meno smart, c’è una patina di malinconia, di patetico, di penosa atmosfera da ultima spiaggia e ultimi fuochi, che rischia di compromettere il mito dell’invincibilità. Ha già 84 anni Berlusconi ed è provato fisicamente, e però saranno proprio la serie di malattie e ricoveri all’ospedale a riabilitarlo anche nell’immagine, stavolta protagonista più che mai il corpo, che resiste ai colpi di complicate patologie, ultime il Covid, l’insufficienza respiratoria e renale, la leucemia, i problemi cardiaci. Ma sembra farcela ancora una volta: “Non pensa a un mondo possibile senza di lui, si crede eterno”, ha detto Giuliano Urbani, forzista della prima ora, mentre l’amico Silvio stava combattendo in terapia intensiva. Quando però anche il declino fisico, dopo quello elettorale e politico ha la meglio, la narrazione sul Cav. cambia ancora, si amplifica il mito dello statista che ha fatto la storia (‘Un colosso della politica internazionale’, continua a definirlo Sallusti) e, nei giorni della terapia intensiva, il San Raffaele diventa l’ultimo grande palcoscenico dell’eterno Berlusconi. Lui regala colpi di scena anche dal letto di ospedale, facendo arrivare le sue telefonate in Consiglio dei ministri, mentre il circo mediatico staziona per giorni e giorni davanti al San Raffaele rendendolo l’estremo set televisivo: gli adoranti si fanno devoti e lo santificano e, sotto i manifesti inneggianti a Silvio stavolta si prega, si portano acque benedette e abitini votivi. Gli odiatori, da parte loro, avevano attenuato i toni già da qualche anno. Lo stesso Scalfari, fra i più feroci anti-Cav, nel 2017, messo alle strette, disse che fra Di Maio e Berlusconi avrebbe votato per quest’ultimo. Perché, di fronte al dilagare del populismo, alla estremizzazione della destra arrembante di governo, quel centro residuo di Forza Italia sembra quasi un argine e il Caimano diventa meno minaccioso, suscita perfino nostalgia. La pietas e lo smarrimento subentrano all’odio, l’uscita di scena rende orfani anche gli oppositori. Il nemico serve comunque a dare identità, Berlusconi era il ‘ciò che non siamo e ciò che non vogliamo’ di Montale, detestarlo scatenava energia vitale e generava politiche, senza di lui viene meno quel comfort identitario che regalava l’odiarlo e rimane il vuoto di una sinistra sbrindellata che fatica a trovare altri confini. Il cumenda milanese, il maniaco e il play boy, il santo e il demone, “il salumiere con la faccia di Hitler” (copyright Fabio Mussi, fra i capofila degli odiatori della prima ora) hanno resistito a tutto. Berlusconi si è sempre rigenerato perché “la gente si diverte, vuole vedere quiz e fondali rosa”, spiegava Ferrara, aggiungendo, con sintesi definitiva: il suo ‘happy ending sta nel non avere ending, è un happy e basta”.

FONTE
AGENZIA DIRE
WWW.DIRE.IT

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