Inaugurata nel 2018, realizzata in memoria di Giancarlo Felici personaggio fortemente legato alla Giostra del Saracino, la Delirium Room dell’Ospedale San Donato di Arezzo del reparto di Geriatria è un modello ormai accreditato in tutta Italia.
In questi giorni una delegazione composta da sette professionisti della ASL 1 Liguria di Imperia (con vari responsabili delle professioni sanitarie, assistenti sociali, terapista, geometra e infermieri) ha fatto visita alla struttura del San Donato per studiarne il modello e trasferirlo nella propria zona.
Le “Delirium Room” consentono di accogliere il paziente insieme al proprio caregiver, il quale può collaborare in maniera continuativa con il personale di assistenza ed essere al tempo stesso beneficiario di un programma di educazione e counselling.
La delirium room del reparto di Geriatra diretta dal dott. Luciano Gorelli del San Donato nasce con lo scopo di intercettare nei setting assistenziali ospedalieri e territoriali i pazienti che vanno incontro a delirium al fine di controllare i disturbi comportamentali con il solo approccio multisensoriale riducendo così l’uso di farmaci antipsicotici.
In Italia sono attive solo due delirium room, e quella di Arezzo è l’unica ad avvalersi della figura del Neuropsicologo.
“E’ con grande soddisfazione e spirito di collaborazione che abbiamo accolto i colleghi liguri, ha dichiarato Simona Dei Direttore Sanitario della ASL Toscana sud est presente all’incontro. Siamo convinti che in sanità pubblica il confronto e lo scambio di esperienze sia fondamentale per il miglioramento dei servizi e delle cure. Questo progetto della delirium room è solo la parte finale di un percorso che, come azienda, stiamo percorrendo da tanto tempo e che cerca di mettere assieme tutte le professionalità e le competenze importanti per la cura dei pazienti anziani. Il nostro obiettivo è garantire ai pazienti, quanto più possibile, un ambiente familiare pur all’interno di un setting ospedaliero, nel momento in cui ne hanno necessità. Questo dà la possibilità ai pazienti, ma soprattutto alle famiglie, di comprendere al meglio la strategia terapeutica comportamentale da attuare anche quando torneranno a casa”.