Con sentenza n. 4390/2023 pubblicata il 19.12.2023 il giudice Luigi Pazienza del Tribunale di Milano ha stabilito che il datore di lavoro non può invocare l’art. 2087 c.c. al fine di imporre – pena la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione – i vaccini anti Sars Cov2 ai dipendenti non obbligati alla vaccinazione dal decreto legge n. 44/2021.
Il giudice del lavoro di Milano ha inoltre ribadito che i vaccini mRNA Covid-19 non possono essere imposti ex art. 279 del d.lgs. 81/2008, in quanto “il datore di lavoro non si può procurare il vaccino anti covid, perché esso non è un prodotto liberamente disponibile in commercio”.
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Sentenza n. 4390_2023
La nuova sentenza non sembra soltanto frutto di una più attenta riflessione giuridica quanto all’evidenza incontestabile che «i vaccini mRNA Covid, non solo non sono vaccini anti Sars Cov-2 ovvero non impediscono il contagio, fatto ormai divenuto notorio, ma non impediscono neppure la malattia Covid-19 in forma severa, e quindi le ospedalizzazioni e i ricoveri in terapia intensiva dei vaccinati.
Moltissimi studi scientifici indipendenti soggetti a revisione paritetica, evidenziano una alterazione/riduzione della risposta immunitaria nei soggetti vaccinati sia rispetto al virus Sars Cov-2 che rispetto ad altri agenti patogeni.
“Gli argomenti utilizzati dall’ill.mo Tribunale milanese – absit iniuria verbis – sono di tipo giuspositivistico (si motiva come il dettato di una norma potesse prevalere sulla realtà dei fatti), essendo ovvio che l’idoneità oggettiva di una misura a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, o sussiste sempre, o non sussiste mai, a prescindere dalla norma generale (art. 2087 c.c.) o speciale (d.l. 122-2021) che la imponga” ribadisce l’avv. Roberto de Petro del Foro di Palermo.
L’avvocato De Petro ritiene anche che “la questione inerente all’inefficacia dei farmaci genici e alla conseguente illogicità di sanzionare con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione i renitenti all’obbligo pseudo “vaccinale”, sia ormai ineludibile e troppo ingombrante da potersi nascondere come si fa con la polvere sotto il tappeto“.
Già molti giudici italiani discostandosi dall’orientamento della Consulta hanno ritenuto come fatto oggettivo, notorio ed incontestabile l’inidoneità dei medicinali genici a perseguire il «fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» declamato dall’art. 4 del D.Lgs n. 44/2021, e per l’effetto hanno disapplicato l’obbligo erroneamente detto vaccinale in quanto discriminatorio e incompatibile con il diritto eurounitario (artt. 1 e 21 della Carta di Nizza), dotato di primazia su quello interno.