Agenzia delle Entrate e PEC di avviso sul Concordato Preventivo Biennale: un atto discutibile

L'Agenzia delle Entrate invia comunicazioni ai contribuenti non aderenti al Concordato Preventivo Biennale, sollevando perplessità per il tono e le affermazioni standardizzate

In questi giorni, molti contribuenti italiani stanno ricevendo delle PEC dall’Agenzia delle Entrate, che potrebbero essere definite almeno discutibili per il loro contenuto e il tono utilizzato. La comunicazione è rivolta principalmente ai soggetti che non hanno aderito al Concordato Preventivo Biennale (CPB), un’opportunità per rendere i propri redditi coerenti con i parametri minimi del settore economico di riferimento. Tuttavia, il linguaggio e il messaggio implicito di queste PEC hanno sollevato più di una perplessità.

Il 4 dicembre 2024, molti contribuenti hanno ricevuto una PEC dal titolo “Informativa”, nella quale si legge: “In tale contesto è stato rilevato che la sua dichiarazione per l’anno 2023 indica un reddito derivante da attività d’impresa inferiore a quello dei dipendenti che lavorano nello stesso settore economico. Questo aspetto, in assenza di giustificazioni oggettive, può essere considerato anomalo.”. Questa frase è riportata in maniera identica a tutti i destinatari, facendo sorgere una domanda spontanea: è possibile che ogni singola impresa abbia avuto un reddito inferiore rispetto ai dipendenti del medesimo settore?

Questa standardizzazione della comunicazione, utilizzata come se ogni azienda fosse nella stessa condizione, può essere percepita come un avvertimento poco trasparente da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’approccio sembra non tenere conto delle diverse situazioni economiche in cui ogni singola azienda può trovarsi, riducendo tutto a un semplice confronto numerico.

La PEC continua suggerendo ai destinatari di considerare la possibilità di integrare il reddito dichiarato per il 2023, o di aderire al Concordato Preventivo Biennale entro il 12 dicembre 2024, per gli anni d’imposta 2024 e 2025. Questa opzione consentirebbe di usufruire di benefici premiali e di una tassazione sostitutiva ridotta, ma la modalità di comunicazione e la pressione implicita sembrano più mirate a forzare l’adesione piuttosto che a offrire un’opportunità.

Già il 29 novembre 2024, un’altra PEC, dal titolo “Informazione riapertura termini adesione al CPB”, aveva raggiunto i contribuenti, sottolineando la possibilità di aderire al Concordato Preventivo e presentando nuovamente il termine del 12 dicembre come scadenza per beneficiare delle agevolazioni fiscali. Anche in questa comunicazione, il tono sembra più simile a un sollecito che a un invito informativo.

Quello che appare particolarmente discutibile è la mancanza di personalizzazione del messaggio e l’assenza di contestualizzazione reale dei dati economici delle aziende coinvolte. L’affermazione secondo cui il reddito è inferiore a quello dei dipendenti è un dato molto forte, che potrebbe avere serie implicazioni per la reputazione e la tranquillità finanziaria delle imprese. Tuttavia, questo dato è stato riportato in maniera generica, senza fornire riferimenti o spiegazioni dettagliate che possano giustificare tale affermazione.

L’impressione è che questa strategia comunicativa dell’Agenzia delle Entrate possa avere l’effetto di una sopraffazione, inducendo i contribuenti ad aderire al CPB non per una valutazione effettiva dei benefici, ma per timore delle possibili conseguenze fiscali. Questo tipo di pressione rischia di minare il rapporto di fiducia tra lo Stato e i cittadini, trasformando quello che dovrebbe essere un supporto alle imprese in un peso burocratico aggiuntivo.

Anche le associazioni di categoria ADC, AIDC e UNGDCEC, in una nota stampa, hanno espresso forti critiche al metodo utilizzato dall’Agenzia delle Entrate, sottolineando come le lettere di compliance siano percepite più come strumenti “intimidatori” che come strumenti per promuovere trasparenza e corretto adempimento degli obblighi fiscali. In particolare, le associazioni dei commercialisti hanno evidenziato l’equiparazione impropria tra il reddito d’impresa o da lavoro autonomo e quello dei lavoratori dipendenti, definendola un “importante errore”. Questo approccio non tiene conto delle difficoltà economiche che molte aziende hanno affrontato nel 2023 e rischia di creare confusione e preoccupazione nei contribuenti, che si rivolgono ai commercialisti non solo per assistenza tecnica, ma anche per supporto psicologico.

In conclusione, la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate dovrebbe puntare a essere più chiara, trasparente e rispettosa delle specificità di ogni contribuente. Le aziende italiane, specialmente quelle di piccole e medie dimensioni, hanno bisogno di sostegno e comprensione, non di messaggi impersonali che possono essere percepiti come una minaccia velata. La speranza è che in futuro le modalità di comunicazione si evolvano verso una maggiore personalizzazione e attenzione al contesto specifico di ogni contribuente, senza il ricorso a formule standardizzate che rischiano di risultare inadeguate e fuorvianti.

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