a cura di Roberto Fiorini
Professore di filosofia, vedovo da dieci anni, Seymour Baumgartner non si è mai rassegnato alla perdita dell’amata moglie Anna, traduttrice e poetessa, e affronta la vita con un senso di straniamento.
Nonostante le malinconie e gli acciacchi dell’età, però, Baumgartner è una persona affabile e generosa.
Possiede la saggezza di chi ha vissuto e sa quanto sono importanti i rapporti umani, che vanno coltivati con cure continue e una buona dose di ironia e di umorismo.
Quando è morta sua moglie Anna, circa dieci anni prima dell’inizio del romanzo, in fondo è morto anche una parte di lui.
I due sono stati sposati per quasi 40 anni.
Baumgartner di Paul Auster pubblicato da Einaudi editore con la traduzione di Cristiana Mennella, è un libro pieno di tenerezza ma allo stesso tempo stravagante, intelligente e a tratti frustrante.
Sy Baumgartner ha 71 anni e sta per andare in pensione da Princeton, dove insegna filosofia.
Lo incontriamo per la prima volta una mattina mentre è impegnato a scrivere una monografia su Kierkegaard.
Prima che la giornata finisca viene interrotto da una serie di strani incidenti: si brucia la mano su una padella che ha lasciato sul fornello, riceve una telefonata dalla figlia della sua donna delle pulizie, che riferisce che suo padre gli ha appena tagliato due dita con una sega circolare, e infine cade dalle scale della cantina, danneggiando il ginocchio.
La verità spesso arriva a pugni e Sy ricorda che la padella era proprio quella che stava comprando quando, a 20 anni, vide per la prima volta Anna in un negozio di ferramenta e sperimentò in prima persona che cosa significa colpo di fulmine.
Oggi torna improvviso quel momento, quasi l’esigenza di un confronto con se stessi in ritardo.
Due mesi dopo il ginocchio è guarito e Sy è al lavoro su un nuovo libro sull’enigma mente-corpo chiamato sindrome dell’arto fantasma.
Forse questo è ciò che stava cercando per alleviare i dolore che ha provato dopo la morte di sua moglie.
Anche dieci anni prima in fondo è riuscito a ricominciare a camminare, ma emotivamente zoppica ancora, incapace di andare avanti.
Anna era una traduttrice e poetessa di talento.
Viene riportata nel romanzo una arguta poesia intitolata Lexicon, in cui Lei appare all’occhiello di lui come un “fiore rosso, scintillante, un fiammifero acceso nel buio“.
Passando gran parte del tempo a lavorare nel suo studio, Baumgartner intreccia una buffa e disperata trama di relazioni con le persone che si affacciano alla sua porta, finché in un sogno, o visione del dormiveglia, incontra Anna, che gli rivela di essere bloccata in una terra di mezzo tra il mondo dei vivi e l’aldilà: è l’inguaribile nostalgia del marito a impedirle di concludere il suo ultimo viaggio.
Per liberare Anna, con logica ineccepibile, Baumgartner decide di far procedere la sua vita e si butta in una relazione sentimentale con una loro vecchia amica.
Questo è solo l’inizio di una serie di vicende imprevedibili.
Perché ricordiamo certi momenti e ne dimentichiamo altri?
Cosa resta di noi quando non ci siamo più?
La narrativa di Paul Auster è piena di sottili giochi linguistici.
La costruzione di un senso di sé e del mondo attraverso le parole.
Quando Sy conclude la scrittura del suo nuovo libro sulla coscienza incarnata e la duplicità dell’essere, fa amicizia con una studente che desidera scrivere un saggio sulla poesia di Anna.
Decide allora di guidare fino al Michigan per incontrarla.
Ma la vita di Baumgartner è a tratti frustrante.
Legge un articolo sul New York Review of Books che lo diverte molto e dimenticando che sua moglie è morta la chiama insistentemente per condividerlo con lei.
Mentre Baumgartner rivisita il passato con la narrazione del suo innamoramento per Anna e del loro matrimonio, inizia a sentirsi libero di vivere un nuovo amore con un collega a Princeton, per poi sognare ed immaginare una relazione con un’altra donna, la studentessa del Michigan, che sembra promettere un diverso tipo di coinvolgimento emotivo, questa volta legato direttamente alla sua defunta moglie.
In appena 160 pagine, Paul Auster completa la sua riflessione sulla percezione e sul significato della morte, resa tanto più personale dalla malattia che lo ha colpito e dalla tragica morte del figlio.
Una storia dei dolori e delle umiliazioni della vecchiaia?
C’è molto umorismo, in particolare del tipo scontroso, ma anche una giocosità di tono nella narrazione.
Ogni pagina contiene una vera e propria energia narrativa propulsiva.
Un romanzo straziante sulla memoria e sulla nostalgia, sul suo senso della vita che entra nella fase finale.
Non certo un commiato.
La conclusione del romanzo è davvero inaspettata.
Un amico mi ha detto che in questo romanzo non succede nulla.
Che a tratti è lento, è noioso.
Nella sua lentezza il romanzo è adorabile, dolce, stravagante, non ci dice mai dove sta andando, accontentandosi invece dell’irresolutezza e di una poetica ambiguità.
Un romanzo che a tratti assume i contorni di un bellissimo album dei ricordi.
Intimo, un profondo racconto di un uomo i cui anni che avanzano sono plasmati dal lutto e dal ricordo.
Si vive contemporaneamente sia nel presente che nel passato e Paul Auster naviga abilmente in questi due binari narrativi.