di Andrea Giustini
Lo scorso 30 giugno la giunta Ghinelli ha presentato in consiglio comunale il progetto del centro per l’impiego che sorgerà al posto del vecchio Comando della ex caserma Cadorna. La notizia, o meglio la conferma, che i murales di Icastica sul retro di quella palazzina non coloreranno più piazza del Popolo e via Garibaldi ha subito e nuovamente generato polemiche e prese di posizione. Ma non solo da chi si è sempre battuto per difendere quei muri, come ci si aspetterebbe. Due sentimenti, diversi e opposti, smuovono gli aretini riguardo quei disegni: da sempre. E’ arte o non è arte? Sono belli o brutti? E ancora: hanno rivalorizzato quella zona o no? Per rendersi conto del contrasto fra vedute basta anche solo dare un occhio ai commenti social comparsi sotto le dichiarazioni del consigliere Francesco Romizi, che solo qualche giorno fa ha descritto il progetto dell’amministrazione Ghinelli come un “atto punitivo” nei confronti di Icastica.
C’è chi difende quei graffiti a spada tratta: «Devono essere salvati assolutamente, non commettiamo crimini contro l’arte!». Chi al contrario se ne esce lapidario: «Se quella è arte io so’ Mozart». Alcuni cercano di spingere a soluzioni alternative: «C’è bisogno di una grande riflessione culturale attorno a quanto sta accadendo. La proposta più equilibrata e rispettosa dell’opera è quella di inserire la parete sulla quale insistono i murales nel nuovo costruendo edificio: integrare, non distruggere!». Mentre altri proprio mostrano di non patirli: «Quei murales sono pugni negli occhi, sporcizia riprodotta in una delle più belle piazze del nostro centro. Toglietele, regalatele…arricchiteci gli amanti di quella cosiddetta arte…ma liberate Arezzo dalla stupidità!».
Nel mezzo, fra queste due visioni apparentemente inconciliabili, qualche cittadino sembra anche filosofeggiare sul murales in sé come tipo di “arte”, accettando in modo stoico ciò che infondo pare inevitabile: «Va pensato però al senso di un murales. Murales non è arte da museo, non è monumento perpetuo, non è stabilità. Murales non è conservazione. Trasformare una cosa che vive del respiro di un luogo, si adatta e annichilisce con esso, in una espressione statica e non dinamica è l’ennesimo modo di trasformare l’intangibile in qualcosa di borghese e degno di una valutazione di mercato. Va ragionato su questo. O anche su questo. Alcune espressioni artistiche non sono fatte per durare e lo sa bene Paganini».
Ma da quanto “durano” questi murales? A pensarci non sembra ma sono già 7 anni che gli artisti Eron e Moneyless li hanno ultimati: era settembre 2015. Com’è noto la storia di queste opere è iniziata con la terza edizione di Icastica, la manifestazione ideata dall’ assessore alla cultura della giunta Fanfani: Pasquale Macrì. Facevano parte de “I Street”, una sezione specifica dedicata all’arte di strada, curata da 999 Contemporary, con il sostegno di Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, e sotto la direzione artistica di Fabio Migliorati. E non sono nemmeno gli unici murales: dal fianco della chiesina si affaccia sul piccolo parcheggio della Misericordia anche quello di Sten e Lex. Guardiamo un attimo da vicino queste opere di Icastica, partendo proprio da quest’ultima.
Sten e Lex, l’uno originario di Roma e l’altro di Taranto, sono due fra gli artisti italiani di Urban Art che più emergono a livello internazionale. La tecnica che usano, e di cui questo murales è un ottimo esempio, è quella dello “stencil”. Disegnano temi essenziali, astratti e geometrici, rigorosamente in bianco e nero. Si dice che per quest’opera, dal titolo “Paesaggio Urbano V”, abbiano ripreso un particolare di “Le leggende della vera croce” di Piero Della Francesca, nella chiesa di San Francesco. In sostanza l’intera opera sarebbe un campionamento di questo dettaglio, ripetuto e ripetuto, fino a renderlo un “pattern”.
Dell’opera di Moneyless si sa un po’ di meno. Nato a Milano ed ispirato da concetti Platonici su geometria e natura, l’artista afferma di cogliere gli elementi più veri della vita e di trasformarli in una denuncia sociale visiva della situazione umana nel mondo. Nel caso di questo enorme murales su sfondo nero però, sembra abbia voluto dare un significato diverso. Pare che quei colori e quelle linee bianche prendano ispirazione “dall’esplosione di arte e di storia” che l’artista riscontrò visitando la città di Arezzo.
Infine, in un angolo stretto fra gli altri due, il murales di Eron. Con quelle figure di soldati e civili, fumose, trasparenti, e quella colomba bianco lucente che sembra volare via dalla vecchia e degradata scritta “zona militare”, è probabilmente l’opera migliore del complesso. Sfortunatamente è anche quella che meno si nota. Come concludeva un pezzo su La Nazione anni fa, “peccato soltanto che il lavoro di Eron resti quello più nascosto al primo impatto visivo”. E forse anche dopo il primo. Perché se non si sa già che è lì, in quella rientranza di palazzina, e non ci si avvicina abbastanza per fruirla, difficilmente passeggiando per via Garibaldi ci si fa caso. Eron è originario di Rimini, ed è stato eletto miglior street artist italiano dalla rivista specializzata AL Magazine, a fine anni Novanta. Il suo lavoro di spray painting per Icastica, di cui è disponibile un video delle fasi preparatorie, trae ispirazione non solo dal fatto che piazza Fanfani prima era zona militare. Ma anche soprattutto dalla storia di Arezzo, poiché l’area dei murales venne bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale. A quanto l’artista spiegò nel 2015, quelle immagini eteree, quasi fantasmi, rievocano simboli e figure passate di quel luogo, ed hanno lo scopo di trasformandolo in una “zona militare universale”.
Non tutti ricordano che queste tre opere furono realizzate sotto la prima giunta Ghinelli e non sotto quella Fanfani, come si potrebbe pensare. A metà 2015 un sindaco Ghinelli appena insediato dette infatti il suo assenso alla terza edizione di Icastica, che avrebbe poi colorato Arezzo per tutta l’estate, fino al 27 settembre. Ma era un assenso scontato, non del tutto sincero, in quanto ogni cosa era già stata predisposta dall’amministrazione di sinistra: non poteva dire no. Già prima delle elezioni il futuro nuovo sindaco aveva in realtà preso posizione contro la manifestazione, dicendo che si trattava di “un’operazione elitaria” e che Arezzo aveva bisogno di altro. E nel 2016 chiarì celermente che la sua giunta non gli avrebbe dato seguito. Icastica richiedeva “troppe risorse” per il sindaco e non era quindi possibile garantire una quarta edizione. Fu forse da qui che iniziò a formarsi il futuro fronte del “salviamo i murales”. Il Comitato promotore della rassegna artistica, assieme a un gruppo di cittadini, organizzò invano una raccolta firme per cercare di far cambiare idea a Ghinelli. Un metodo che più volte nel corso di questi anni è stato tentato dalle varie realtà a favore dei disegni, anche l’anno dopo.
A settembre 2017 il sindaco annunciò che il parcheggio Baldaccio ritornava in possesso del Comune e che vi erano grandi novità anche per quello di piazza Fanfani: per la prima volta si parlò del progetto di collegare la ex Cadorna a via Garibaldi. Non era ancora chiaro se il muro sul parcheggio della Misericordia sarebbe stato solo parzialmente forato o demolito, e nemmeno se vi sarebbe sorto un altro edificio, come invece è oggi, ma alla domanda dei giornalisti di Teletruria sulla fine che avrebbero fatto poi i murales Ghinelli rispose in modo forte: «Non ci fermeremo davanti a un’opera d’arte». O perlomeno questa è l’impressione che si ebbe leggendo alcuni giornali locali. In realtà il discorso del sindaco fu sereno e propositivo: disse che c’era bisogno di studiarci un po’, capire quale sarebbe stata la soluzione migliore, e che la priorità doveva essere fornire alla città “una risposta in termini di fruibilità degli spazi”. Tuttavia fu dato risalto mediatico prevalentemente a quelle parole specifiche, che finirono per far arrabbiare una certa parte della cittadinanza, sempre più convinta che a Ghinelli non importasse della “cultura”. O addirittura che volesse in qualche modo rifarsi contro Icastica. Lo si vede bene nelle motivazioni della petizione online che infatti fu promossa di lì a poco per salvare i murales.
La petizione, lanciata subito il 27 settembre 2017, raggiunse in poco tempo 3.384 firme. Si chiedeva al sindaco di riconsiderare il progetto e di lasciare i murales così: come e dove sono. «Cittadini di Arezzo e non – si legge su change.org – noi italiani che da secoli conserviamo, rispettiamo e tuteliamo l’arte, oggi più che mai Arezzo e i suoi murales hanno bisogno di voi. Ve lo chiediamo per il bene e il bello di Arezzo, una città che, adesso più che mai, ha bisogno di bellezza, colore e arte». Oltre alla frase “forte” del sindaco già citata venivano però anche riportate cose inesatte: che avesse dichiarato l’intenzione di “abbattere” il muro, scritto nella petizione in maiuscolo e in grassetto, mentre ancora non era chiaro il da farsi; che avesse descritto quelle di Icastica come “opere di poco valore”, mentre invece disse senza malizia che si trattava di “opere relativamente modeste”.
Alla petizione aderirono esponenti del Partito Democratico, di Arezzo in Comune, cittadini comuni ed anche Mary Stella Cornacchini di Ora Ghinelli e Angelo Rossi, che a suo tempo avevano portato in Consiglio l’atto di indirizzo per riservare alcuni spazi della città alla street art. Matteo Bracciali, avversario politico di Ghinelli alle elezioni del 2015, dichiarò che la “banalità e superficialità” con cui il sindaco avrebbe bollato il valore di quei murales come trascurabile parlava da sola: «E’ la conseguenza dell’approccio che l’amministrazione di Ghinelli in generale ha alla cultura». I Popolari dichiararono invece che quelli in piazza del Popolo sono “un patrimonio da tutelare e valorizzare” e che rappresentano «una ricchezza e un esempio di riqualificazione urbana che l’amministrazione dovrebbe promuovere».
Questo fu probabilmente il momento apice delle polemiche, tanto che in qualche modo la situazione fu commentata anche da personaggi esterni alla città di Arezzo. Per il fronte del “salviamo i murales”, ad esempio, intervenne Adina Persano, presidente dell’Associazione Nazionale Guide Turistiche: «A prescindere dal fatto che possa piacere o meno e dalle posizioni politiche, questa è un’espressione d’arte che a qualcuno dice poco, ma chi l’ha realizzata ha voluto lasciare un messaggio, è un segno artistico che la città ha, perché distruggerlo? Allora avrebbero dovuto distruggere tutto quello che ha lasciato il Rinascimento, il Barocco? A volte i messaggi sono più facili da capire, altri sono più nascosti, ma ogni artista lascia un messaggio. Distruggendo il muro della ex caserma e di conseguenza il murales si distruggerebbe anche parte della storia della città e un altro pezzo della sua identità, rappresentata anche dal cartello che indica la zona militare invalicabile, come era ai tempi in cui ancora c’era l’obbligo della leva».
Per il fronte del “abbasso i murales”, sebbene in modo non proprio netto, intervenne invece Vittorio Sgarbi. Interpellato dal Corriere, riferendosi anche lui alla oramai celebre frase di Ghinelli sul non fermarsi, disse: «Forse il sindaco voleva dire non sarà “una pseudo opera d’arte” a fermarci. No, chi legge non fraintenda, nessuna presa di posizione contro l’arte muraria o contro quei murales in particolare. I graffiti per loro natura nascono in una dimensione di trasgressione e sono fatti per non durare nel tempo, per essere cancellati, o riproposti altrove. Certo, se non fosse necessario l’abbattimento di quel muro potrebbero tranquillamente restare dove sono, ma se per la realizzazione di un’opera urbanistica serve demolire il muro con il graffito non vedo perché non dovrebbe essere fatto. Si tratta di graffiti di qualità media. E in ogni caso essi non sono opere irripetibili o opere monumentali da preservare».
Fu fatto anche un flash mob di fronte ai murales, il primo di diversi. L’8 ottobre un gruppo di cittadini manifestò per chiedere al sindaco di non toccare i murales: parlarono di “un’azione di gruppo in favore dell’arte”, senza sigle di partito. I partecipanti dovevano passare di fronte alle opere, fingendo di farlo come per caso, e poi scattarsi un selfie o in alternativa fotografare direttamente i muri, per poi ricondividere il tutto sui propri social con l’hashtag “murARTE”, e invitare amici ed altri cittadini a fare lo stesso, a lottare per salvare i murales. L’obbiettivo era mandare un video dell’azione al sindaco, in modo simile a come avvenne per le firme del Comitato di Icastica. Nella pagina di Arezzo Street Art, sono è ancora disponibile uno spaccato di quel giorno (anche qui).
Con il tempo di dichiarazioni, iniziative e flash mob ne sono state collezionate molte. Una delle più recenti, come riportato da arezzonotizie, quella dei Negrita, che per promuovere la loro esibizione dello scorso maggio all’Eurovision Son Contest di Torino, posarono con tanto di Fender Telecaster di fronte al murale di Moneyless. L’obbiettivo, anche se non del tutto dichiarato, era ovviamente riportare l’attenzione, non solo dei cittadini aretini ma anche di altre realtà italiane, sul fatto che i murales di Icastica, eseguiti da artisti noti e di discreta fama internazionale, rischiavano di sparire di lì a poco.
Dopo le nuove polemiche di questa e della scorsa settimana, ieri il sindaco è di nuovo intervenuto sulla questione, chiarendo che l’intenzione della giunta è sì quella di andare avanti col progetto del nuovo centro per l’impiego, ma anche quella di richiamare gli artisti e permettergli di rifare i murales, gli stessi o altri, in altre zone della città. E forse questa è proprio la scelta più giusta. Del resto risulta ideologico, irrazionale, rinunciare alla rinascita urbana di una zona della città a causa di alcuni graffiti su un muro. Ma è anche ingiusto e irrispettoso sbriciolarlo come nulla fosse, non considerando la loro storia, i sentimenti che suscitano nei cittadini di Arezzo e naturalmente le mani che li hanno realizzati.
In conclusione vanno comunque fatte alcune considerazioni. Intanto che non è vero come paventato da qualche “esponente” del fronte “salviamo i murales” che andati quelli non rimarrebbe più nulla di Icastica ad Arezzo. La nostra città è ricca di riferimenti a questa manifestazione artistica, a cui nemmeno mai abbiamo fatto caso: basti pensare al parco di fronte la Biblioteca Comunale. Le statue in metallo di caprette che brucano qua e là fra i ruderi vi erano state poste per la prima edizione di Icastica, nel 2013, e lì sono rimaste poiché l’artista Karen Wilberding Diefenbach ha infine deciso di regalarle alla città. E quella sfera piena di libri che si trovava sotto i portici nel 2015 ad esempio? La sua struttura in metallo è stata disposta in via Baldaccio d’Anghiari, fra il parco e il parcheggio degli autobus. Si potrebbero fare altri esempi.
Bisogna poi chiedersi se davvero, come ad esempio hanno sostenuto i Popolari, i murales di piazza del Popolo siano “esempi di riqualificazione da promuovere”: cioè se abbiano raggiunto quello che era l’obbiettivo dell’amministrazione Fanfani. Purtroppo a guardarli oggi si direbbe di no, e per due motivi. Il primo è che il luogo che li ospita non era probabilmente il più adatto. Era più che prevedibile che prima o poi avrebbe subìto una serie di riammodernamenti, ristrutturazioni o anche demolizioni, poiché sin dai tempi della vecchia amministrazione Lucherini erano state iniziate le pratiche burocratiche per farlo. Inutile quindi ad oggi lamentarsi se vengono finalmente portati avanti progetti.
Il secondo motivo è che parti di queste opere cadono a pezzi. Già prima della realizzazione del murale di Sten e Lex, ad esempio, l’intonaco del fianco alla chiesa della Misericordia presentava vari danni, alcuni particolarmente vistosi. Con il tempo la situazione è peggiorata, e lo stesso vale per il muro con l’opera di Moneyless: da lontano può sembrare che tutto sia a posto, ma basta entrare nel parcheggio di qualche passo per notare crepe, parti di verniciatura venute via e tutta una serie di altri danni.
La situazione è anche peggio nell’angolo con l’opera di Eron. E’ semplicemente brutto: fra sporcizia, porte fatte in qualche modo, ruggine e vernice vecchissime, e poi fra muffe, spigoli, e forme in generale orribili, anche dei tettucci, era impossibile “riqualificarlo” o “rivalorizzarlo”, con nessun disegno, nemmeno di Leonardo da Vinci. In parte lo stesso murales contribuisce a quel senso di degradato: tutta l’opera sorge da colature di colore in due punti, nella parte alta del muro, che scendono giù. Bello si potrebbe dire. Solo che danno come l’impressione di sporco che sgorga da cavità sulla parete. Schizzi e rigoli si notano poi in basso, verso la porta, e ci si chiede se siano in qualche modo dettagli voluti nell’opera, errori o patimenti del tempo. Infine proprio quel tratto sfumato, fumoso, che contraddistingue tutto il murales, finisce per sembrare non disegno ma intonaco sporco, danneggiato o inumidito.
Paradossalmente, e non certo per colpa degli artisti che li avevano realizzati, proprio quei murales che dovevano eliminare il degrado di quella parte della piazza hanno finito per contribuire ad esso ed esserne contaminati, fino a diventarne a tutti gli effetti parte.
Infondo hanno ragione il cittadino anonimo citato a inizio pezzo, quello che ha filosofeggiato sull’essenza dei murales, e lo stesso Vittorio Sgarbi. Ma non perché sia giusto buttare giù quei muri. Piuttosto perché è nella natura del graffito, nella sua “filosofia”, essere dinamico, flessibile, adattivo: fatto per non durare in un certo luogo o in una certa forma. Si colora e si cancella. Appare, scompare e ricompare ancora. Viene prima rappresentato in un muro della città, poi anche in un altro, e poi in un altro, e così via. Aspettiamo a questo punto di conoscere i dettagli del prossimo tassello di questa storia, quando effettivamente inizieranno i lavori nel parcheggino della Misericordia e quando la giunta individuerà le zone cittadine più idonee per dare nuova vita a queste ed altre opere di street art.