AREZZO – Il 21 febbraio 1974 se ne andava Abel Vallmitjana, pittore, scultore, incisore e studioso di folklore nato in Catalogna nel 1910, considerato una delle figure artistiche più importanti e influenti tra quelle vissute ad Arezzo nella seconda metà del Novecento.
A cinquant’anni dalla scomparsa è nato un gruppo, denominato Incontro, che da tempo è al lavoro per recuperare la memoria della temperie culturale aretina di quel periodo e stilare una serie di iniziative a ricordo di un personaggio che per circa venti anni segnò in maniera indelebile l’arte e la cultura cittadina.
Abel Vallmitjana giunse ad Arezzo a metà degli anni Cinquanta, dopo una vita fatta di viaggi ed esperienze che lo avevano segnato dal punto di vista artistico e umano. Lo spagnolo era un convinto oppositore del regime franchista e così, alla pari di molti altri suoi connazionali, nel 1938 lasciò la patria per vivere da esule. Durante la permanenza in Venezuela contribuì a fondare la Facultad de Arquitectura y Urbanismo de la Universidad Central di Caracas e conobbe la seconda moglie, Clarisa Silva, con la quale si trasferì in seguito in Italia. I due andarono a vivere a Villa Guillichini di Tregozzano, acquistata assieme a Miguel Otero Silva, noto giornalista e poeta, cugino di Clarisa. Nell’antica dimora gentilizia Vallmitjana inaugurò il suo nuovo studio, affiancandolo con un laboratorio di incisione e una stamperia.
L’artista aveva stretto negli anni solide amicizie con alcuni mostri sacri della letteratura, così era facile vedere in zona personaggi del calibro di Rafael Alberti oppure premi nobel come Pablo Neruda, Gabriel Garcia Marquez e Miguel Ángel Asturias Rosales, che facevano a gara a soggiornare a “Casa Vallmitjana” per trovare l’ispirazione, confrontare le idee o assaporare l’atmosfera agreste aretina. Grazie a quei soggiorni, ad esempio, Garcia Marquez ebbe lo spunto per scrivere “Spaventi di agosto”, uno dei suoi “Dodici racconti raminghi”.
Ben presto la villa a nord della città divenne uno dei circoli culturali più importanti di Arezzo, dove i migliori talenti artistici locali entrarono in contatto con una figura di respiro internazionale. Quattro di loro – Dario Tenti, Orlando Cavallucci e i fratelli Francesco e Mario Caporali – furono incoraggiati dallo spagnolo a fondare la Galleria d’arte moderna “L’incontro”, in piazza San Francesco, nonché a dare vita al celebre “Premio Arezzo” nel 1959. Grazie a Vallmitjana il quartetto di pittori poté esporre con delle mostre a Caracas e Merida.
In una delle visite aretine di Neruda, nei primi anni Sessanta, il grande poeta cileno ammirò il calco in gesso di una scultura che rappresentava due figure femminili abbracciate e coi volti stilizzati, dall’espressione angosciata e sofferente. Guardandole le definì “La Hermana y la Herida”, ovvero “La Sorella e la Ferita”. La fusione dell’opera avvenne dopo la morte di Vallmitjana e oggi il bronzo è ammirabile nei Giardini del Praticino, proprio di fronte alla Biblioteca “Città di Arezzo”.
La scultura, priva ancora di una targa che ne racconti la genesi, viene quasi sempre ignorata dai turisti che passeggiano nella zona, ma racchiude una storia in cui il territorio aretino fa da sfondo a grandi amicizie e incontri tra alcuni giganti del secolo scorso.
Abel Vallmitjana riposa nel piccolo cimitero di Puglia assieme all’amata Clarisa. Nella vicina Tregozzano il ricordo dell’artista è più vivo che mai. Il Centro di aggregazione sociale “L’incontro”, in collaborazione con la locale parrocchia e l’associazione Officina del Ruzzo, sta infatti lavorando a un progetto di volontariato giovanile finanziato da Cesvot Toscana e Fondazione Banca Toscana dal titolo “AggreArti”. Dal progetto sta nascendo il Parco Artistico “Abel Vallmitjana Taller”, un museo d’arte contemporanea a cielo aperto pronto entro la prossima primavera, nel quale installazioni artistiche e paesaggio dialogheranno in memoria di un personaggio che con il suo arrivo illuminò Arezzo con l’arte e la cultura.