Green pass o no-green pass? Questo è il dubbio amletico che ha tormentato l’estate degli italiani, obbligati a schierarsi quanto prima. In mezzo rimane chi vuole riflettere, chi tentenna, chi ha un dubbio, chi è perplesso ma, soprattutto, chi finisce per essere etichettato come un “irresponsabile cittadino” a tutti gli effetti.
E la politica? Il riassunto è un continuo scontro tra partiti, tra idee divergenti, un interminabile avvicendarsi di interventi a gamba tesa capaci soltanto di esasperare una situazione di per sé già infuocata.
In seguito all’approvazione del decreto che istituisce l’obbligo di “certificazione verde” per accedere ad alcuni luoghi e servizi, Gilberto Corbellini, professore ordinario di storia della medicina e di bioetica presso l’Università Sapienza di Roma, ha affermato qualche tempo fa: “Bisogna riflettere innanzitutto sul «modo di fare le cose», cioè sull’opportunità che uno Stato «con atteggiamento paternalistico» cali dall’alto un obbligo (anche in forma di incentivo rafforzato) laddove non ve ne sia la comprovata necessità. Non ci sforziamo di educare o di rivolgerci alle persone nelle maniere adeguate per ottenere la loro adesione a un tipo di esigenza sanitaria come quella di vaccinarsi. Che non è come prendere un farmaco in presenza di qualche sintomo.
Con il green pass ci siamo tolti il problema perché non vogliamo far fatica, traendo anche qualche gratificazione che viene dall’imporre limitazioni alla libertà delle persone. L’obbligatorietà dovrebbe essere introdotta con prudenza perché il rischio è che sul piano sociale i cittadini si sentano trattati da sudditi. Si parla tanto di medicina di precisione, allora facciamo anche un po’ di sanità pubblica di precisione. Gli obblighi vaccinali funzionano molto bene nei contesti ristretti. Mentre a livello di stati, cioè di popolazioni distribuite su centinaia di migliaia di chilometri quadrati, abbiamo a che fare con una realtà molto più complessa, in cui le persone si distribuiscono anche in base a percezioni e a valori di natura culturale molto diversi. Ecco, in un sistema pluralista bisognerebbe dialogare e cercare di capire in che modo superare alcune contrarietà”.
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Parole profonde e sensate, ma che di fatto non collimano con la situazione che va profilandosi nei prossimi mesi. E’ cosa certa, infatti, anche se non ancora sancita per legge, l’ampliamento dell’obbligo dei “lasciapassare”: fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre dovrebbero scattare le nuove regole e, se i numeri delle vaccinazioni non dovessero essere sufficienti, a fine ottobre si potrebbe pensare perfino all’obbligo vaccinale.
I primi a doversi adeguare ai “lasciapassare” obbligatorio saranno i dipendenti pubblici, come già accade per gli insegnanti e per il resto del personale della scuola. Insieme a loro toccherà a ristoratori, gestori di palestre e piscine e addetti ai trasporti a lunga percorrenza, cioè le attività per cui è già necessario il Green Pass per clienti e utenti. Perfino l’accesso a sagre e fiere locali è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una certificazione verde.
Tuttavia, il dato di fatto è che ormai il green pass sia già diventato l’anticamera dell’obbligo vaccinale, visto l’elevato numero di luoghi a cui non è più possibile accedere se se ne è sprovvisti. Prendiamo l’esempio dei minorenni: alcuni Paesi europei vaccinano solo minori fragili e a rischio, come Germania, Regno Unito e Belgio, mentre alcuni addirittura interdicono completamente la vaccinazione dei minorenni, con la stessa Oms che ha vivamente sconsigliato di immunizzare bambini.
In Italia però si spinge l’acceleratore, obbligando i ragazzini a vaccinarsi col pretesto del “lasciapassare”, senza il quale, peraltro, occorrerebbe un tampone ogni 48 ore. In altre parole, per visitare un museo, per andare al cinema o al teatro, un ragazzino non vaccinato dovrebbe farsi un tampone a pagamento (prenotandolo magari settimane prima, visto che non sempre è facile trovare posto), così come non potrà più seguire corsi di nuoto o altri sport di squadra a meno di un tampone ogni 2 giorni.
E i mezzi pubblici? L’obbligo del “lasciapassare” rischia di disincentivare tantissimi giovani e famiglie a viaggiare con essi aumentando così il ricorso all’auto (quindi più inquinamento e conseguente peggioramento della salute pubblica).
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La scuola? Al di là del green pass, che ha intaccato anche questa roccaforte, è stato davvero fatto il possibile per migliorarne le condizioni generali in questo anno e mezzo di pandemia? Risposta negativa: di fatto, non sono aumentati i mezzi pubblici, non sono stati ridotti gli alunni per classe, non sono aumentati docenti e personale, non sono state finanziate aule all’aperto per ogni scuola, e via dicendo.
Ad avvalorare l’inadeguatezza del “lasciapassare” sopraggiunge anche il Regolamento nr. 953/2021 dell’Unione Europea, il quale stabilisce che gli Stati devono tassativamente “evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate”.
In particolare, il regolamento “non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati”. Nel caso specifico, pertanto, non sembrano esservi dubbi circa la natura palesemente discriminatoria – e quindi in violazione del Regolamento nr. 953 – delle prescrizioni contenute nel decreto istitutivo del green pass.
Infatti, l’introduzione della “carta verde” per accedere a tutta una serie di luoghi, eventi e servizi crea inevitabilmente, e deliberatamente, una discriminazione ben precisa, in particolare, tra chi il vaccino lo ha fatto (o non ha potuto farlo per motivi di salute) e chi invece ha scelto di non farlo, per ragioni personali insindacabili (in carenza di un obbligo di legge).
In questo clima da guerra civile, è alquanto lecito avere dei dubbi, al di là di ogni etichetta, pregiudizio o schieramento politico. D’altronde, la libertà di pensiero è una pietra angolare di qualunque democrazia che meriti di essere così definita.