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Ieri era ad Arezzo l’unica italiana che ha seguito il processo a Julian Assange da Londra

Ilaria Isacchi e Berenice Galli

Ieri sera era ad Arezzo Berenice Galli, l’unica italiana ad aver seguito direttamente da Londra il processo al giornalista e informatico Julian Assange.

Collaboratrice presso Navdanya International fino al 2015, membro del Comitato “No Guerra No Nato”, Galli ha preso parte alla proiezione del film “Hacking Justice“, organizzata dall’associazione Conoscere per Scegliere presso l’Auditorium Ducci. In conclusione dell’evento ha partecipato a un dibattito con il pubblico, approfondendo aspetti della storia del giornalista australiano e ragionando sulle conseguenze che il suo caso ha avuto e potrà avere sul futuro dell’informazione nel mondo.

Il processo ad Assange è stato una farsa – ha detto Berenice Galli -. Dobbiamo capire che qui non parliamo semplicemente della libertà di un uomo, ma di quella di tutti. Della libertà di espressione, di informazione. Della libertà del giornalismo. Io lo dico con dolore, non me ne vanto: a Londra ho dovuto fare giornalismo dove giornalismo non c’era. Poiché a raccontare il processo a Julian Assange a Londra, credetemi, non c’era nessuno“.

Arezzo Informa era presente alla serata organizzata da Conoscere per Scegliere ed ha avuto modo di raggiungere Berenice Galli per alcune domande.

 

Vieni spesso definita l’unica giornalista che ha seguito il processo ad Assange da Londra, ma in realtà, e lo hai ricordato tu stessa questa sera, non hai la tessera da giornalista: per scelta. Perché questa scelta?

Mi sono messa a disposizione dell’informazione indipendente da quando mi sono resa conto di quante menzogne venissero raccontate nel mainstream e di quanto l’informazione sia uno strumento di guerra e propaganda al pari delle armi tradizionali. In moltissimi paesi si è giornalisti facendo giornalismo; l’ordine dei giornalisti in Italia magari avrebbe senso se fosse autonomo dal potere e se combattesse per la libertà di stampa“.

C’è quindi un paradosso. Una persona che non è giornalista ha fatto il lavoro che avrebbero dovuto fare i giornalisti seguendo tra l’altra il caso proprio di un giornalista. Cosa ti ha spinto a farlo?

Mi ha spinto l’emergenza della situazione in cui siamo precipitati mentre la maggior parte delle persone e dei movimenti non reagiscono. Siamo un paese belligerante a tutti gli effetti per conto di un altro paese e altri interessi e tutto questo si è preparato da decenni“.

Tu sei andata molto a fondo la questione, incontrando anche il padre di Assange:

Si. John Shipton oltre che il padre di Julian Assange è un uomo tenace e solo contro il mondo intero. Nonostante l’età sta girando tutto il mondo per cercare di portare avanti la causa del figlio, senza mai perdere la fiducia e la gentilezza“.

Cosa rappresenta per te il caso Assange e cosa pensi significhi per il futuro dell’informazione?

La libertà di Julian Assange è la nostra libertà, tutto ciò che hanno fatto a lui lo hanno fatto a noi. Non reagire a questo significa abbandonare il nostro destino alla sopraffazione e rinunciare ai diritti che sono stati conquistati con il sangue dai nostri predecessori“.

Julian Assange è cofondatore dell’organizzazione WikiLeaks, che nella metà degli anni 2000 realizzò una rivoluzione nel mondo del giornalismo, rendendo pubbliche informazioni riservate fornite da whistleblowers (persone a conoscenza di illeciti commessi da autorità) riguardanti, fra le cose, possibili crimini di guerra delle forze armate Usa. Fu accusato prima di stupro e crimini sessuali in Svezia. Poi di spionaggio, terrorismo e cospirazione dagli USA. Per 7 anni è stato rifugiato politico presso l’Ambasciata dell’Ecuador. Dall’aprile 2019 è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, in Inghilterra. Se estradato negli Stati Uniti rischia una condanna a 175 anni di carcere.

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