Di Andrea Giustini
La copia della Chimera che sabato 4 giugno verrà posta in piazza della Repubblica, di fronte alla stazione di Arezzo, è in buone mani. In un certo senso “paterne”. Massimo Gallorini, professore in pensione dell’ITIS, già presidente del Rotary Club Arezzo ed attuale della fondazione Arte e Co.Scienza, è l’ideatore assieme al Rotary di questo come di molti altri progetti legati allo storico monumento etrusco, e la custodisce, in attesa della collocazione in piazza, a casa sua. Si potrebbe dire gelosamente: perché è sempre il professor Gallorini ad essersi speso materialmente per la sua realizzazione. Ma anche perché, a sentirlo parlare della Chimera, si avverte come un legame profondo con questa scultura, in quanto consapevole di ciò che rappresenta per la città di Arezzo.
La redazione di ArezzoWeb Informa ha avuto l’esclusiva possibilità di intervistare Gallorini proprio presso la sua abitazione, e di vedere così in anteprima la bronzea fiera mitologica, prima del balzo alla stazione. Un monumento che, va subito precisato, non è semplicemente una “copia” di quella originale a Firenze, quasi come fosse stata realizzata meccanicamente, senz’anima, ma è invece un’opera d’arte a tutti gli effetti. «Oggi giorno l’artista contemporaneo non si mette più a lavorare creta o argilla – spiega il professore accompagnandoci alla Chimera – nel 90% dei casi parte da un modello in digitale tridimensionale, come abbiamo fatto noi. Una volta che la stampante lo ha ricreato, il lavoro subito dopo è tale e quale a quello di uno scultore».
Come nasce professore l’idea di una copia in bronzo fedele all’originale?
«Dopo la realizzazione di quella olografica e poi di una ricostruzione in scala 1 a 2, ci eravamo resi conto che ai cittadini interessa molto la Chimera. Ebbi modo di sentire la dottoressa Gatto, direttore del Museo Archeologico di Arezzo, la quale mi accennò di aver rispolverato il prototipo in gesso delle chimere poste ai giardini. La gente però, confrontandolo con l’olografica, rimaneva un po’ spiazzata: finiva per pensare che ci fosse nell’ologramma qualche errore. E’ quella in gesso invece ad essere fatta male, poiché falso storico: quella olografica invece è fedele all’originale. Abbiamo così iniziato a pensare di realizzare una chimera a grandezza naturale, accurata in tutto e per tutto, per permettere a tutti i cittadini di conoscere davvero quest’opera: alla fine ci è stato chiesto di farla davvero».
Camminando al fianco del professore, negli spazi della fondazione Arte e Co.Scienza, quasi non si capisce più se la chimera è solo quella che si intravede là, coperta da un sottile telo rosso o, in senso metaforico, “il personaggio”, Massimo Gallorini. Fra opere d’arte in ogni angolo, una collezione naturalistica, un bioparco, e la piacevole quanto ricca quantità di dettagli culturali, filosofici e scientifici che ci accolgono in sua presenza, si ha la chiara sensazione di essere al cospetto di un ingegno poliedrico, incarnazione per eccellenza dell’eclettismo. «Perché la criniera della chimera è come fatta a ciocche?» chiede Gallorini arrivati di fronte all’opera. «Se guardi ad altre rappresentazioni feline dell’antichità vedi che hanno invece la classica criniera da leone. La sua criniera ricorda invece anche le penne di un volatile. Sono molto simili a quelle di un’altra creatura mitologica: il grifone».
Una volta scoperta del tutto la scultura si rimane impressionati. Dal colore del bronzo ai dettagli scultorei come le venature, finanche i difetti di questa chimera, come i segni su zampe e corpo, tutto è uguale all’originale.
Come è stata realizzata?
«Supportati sempre dal Rotary e da altri collaboratori, per prima cosa abbiamo studiato i modelli esistenti. Siamo stati alla chimera di San Lorentino, la chimera dello Scatragli, e a quella di Firenze: lì grazie alle autorizzazioni della Direzione Regionale Musei della Toscana è stata scansionata con 1500 foto in alta risoluzione per dare al software della stampante 3d i dati più precisi possibile. La mole di materiale per le istruzioni digitali era così grande che la macchina si inchiodava spesso. Solo a fare il rendering, prima ancora che la stampa, impiegava ore. E’ stato quindi necessario stampare la Chimera in più pezzi. Dopo di che, dato che il materiale di stampa è PLA, è stato necessario rifinirla manualmente. Infine a Firenze, presso la Fonderia d’Arte del Giudice Leonardo e figli, abbiamo proceduto con calchi e cere. Io sono personalmente andato più volte a Firenze assieme agli studenti per osservare i risultati, modellare e ritoccare la scultura nelle varie fasi».
Sfiorando con le mani il bronzo dell’opera ci ritroviamo a fare anche un po’ di filosofia. Secondo il professore non è detto che la Chimera rappresenti solo tre animali, ci sono varie teorie. Il corpo, così esile e glabro nella parte posteriore, potrebbe riprendere quello di un antico cane Romano. Ma anche quello di un particolare leone che abitava l’antica Grecia, oramai estinto. L’idea che però più affascina Gallorini è che il quarto animale possa essere la Chimera stessa: il leone, la capra e il serpente, assieme, risulterebbero come un animale che non è semplicemente la loro somma matematica: «Qualcosa di più!».
Cosa rappresenta per lei la Chimera di Arezzo?
«Per me rappresenta un po’ il percorso di Cosimo de’ Medici, animato da una grande passione per questo oggetto. Alla fine parliamo di un essere leggendario, che però è stato rappresentato in quel bronzo con una grazia, un’armonia, che non hanno nulla di mostruoso. La trovo bellissima, sofferente e vittima, perché al di là del significato che la sua uccisione assumeva per la cultura ed il mondo antico, la Chimera è in un certo senso vittima di quella narrazione che vuole sempre figurare un buono e un cattivo. Lo stesso Cosimo de’ Medici ha avuto sempre un particolare rapporto con la Chimera, è vero che lui si riteneva il novello Bellerofonte che ha ucciso il mostro, ma è altresì documentato che passò con lei giorni e notti nel piccolo studio di Palazzo Ducale, dove poteva accedere solo Benvenuto Cellini, appassionato anche lui del “lione di bronzo”, come usavano chiamarlo. E passavano assieme le ore a ripulirla con ceselli da orefice. L’ingresso al “laboratorio” era precluso anche alla moglie, tant’è che tale passione ebbe effetti negativi nella vita coniugale di Cosimo».
«E anche io – continua Gallorini – per seguire le prime stampe 3D mi sono chiuso nel mio laboratorio o mettendo la sveglia ho controllato più volte il processo alle 3 di notte…Parlando anche con i cittadini non sembra che ne abbiano un’immagine negativa, mostruosa: anche loro, come Cosimo, sono passati alla seconda fase: la Chimera non è un mostro, è bella».
Dunque quale significato avrà porre questa Chimera domani in piazza della Repubblica?
«Mettendola in piazza noi vogliamo riportare l’interesse per la Chimera reale, com’è veramente. Così facendo anticipiamo un passaggio che comunque è d’obbligo. Anche se un domani qualcuno riportasse la Chimera originale ad Arezzo, resterebbe in un museo, chiusa a chiave, probabilmente ancora più protetta di come è adesso a Firenze: e quindi ancora più lontana dai cittadini. Mettendone una copia identica alla stazione invece si ottiene la piena e rinnovata fruibilità del monumento. Volevo che tutti gli aretini potessero averne la giusta idea, ma non dalle “foto istituzionali da museo”, che non danno la proporzione reale, o come nei giardinetti, lontana e ricostruita in modo non accurato. In presenza invece, con una scultura che si potesse anche fotografare nei selfie. La Chimera poi sarà inaugurata domani, a giugno, in un momento dove la pandemia si avvicina ai minimi stagionali e annuali. Il nostro vuol quindi anche essere un auspicio, per ritrovarsi tutti insieme a festeggiare sotto il simbolo della città».
Dando un ultimo sguardo alla bestia, prima che Gallorini la ricopra delicatamente col telo rosso, cogliamo l’occasione per rivolgere al professore una domanda finale un po’ pungente.
Esistono già diverse chimere in città: non pensa che qualche aretino, di fronte a questa nuova copia, invocherà l’intervento di Bellerofonte?
Lui si mette a ridere e risponde in modo scherzoso. «Ma guardi, pensandoci manca fra le mie sculture quella di Bellerofonte. Rispondo quindi che sarei ben felice di modellare anche la statua dell’eroe visto che, tra l’altro, ho ricostruito proprio posizione e inclinazione esatte della lancia che nel complesso scultoreo originale trafiggeva la Chimera. Sono l’unico ad averlo potuto fare in modo scientifico, con l’analisi tridimensionale del foro di entrata e di uscita della lancia nel collo del capretto, sul dorso della Chimera».