di Roberto Fiorini
Una madre che lotta per crescere sua figlia, una donna sola e chiusa in sé stessa, una città ferita.
Una storia di speranza e di resilienza, di amore materno, di cadute nel fango e di rinascite. Un romanzo che racconta i giorni successivi all’alluvione di Livorno del 2017 e l’incontro tra due donne che cambierà per sempre le loro vite.
Il terzo libro di Carlo Banchieri, livornese, 41 anni, di mestiere portuale si intitola Mimosa non è un fiore (Edizioni La Gru, 108 pagg, 12 euro)
Carlo Banchieri ha sempre lavorato come operaio ed ha già pubblicato Sulla strada per Olmo Antico (2012) e Un mondo imperfetto e altri racconti (2013).
In un tempo pieno di rumore e pieno di parole, il silenzio di solitudine può apparire come un tesoro da custodire, una zattera in mezzo al mare, un’oasi all’orizzonte.
Eppure può bastare cambiare prospettiva per capire che il mare non è così profondo o che non è tutta sabbia intorno.
Banchieri prende il disastro più recente e doloroso che ha ferito il cuore della sua città – l’alluvione del 2017, 8 morti, colpa di nessuno, i soliti processi lenti – e ne sovverte il significato: da portatore di morte e distruzione a crocevia di amori e affetti, attorno al quale si innesta un percorso di rinascita.
Nel libro rimane tutto il carico di sofferenza che il disastro naturale ha prodotto, ma è come se spostasse l’obiettivo su piccole grandi storie che si incrociano sullo sfondo del disastro.
La Mimosa del titolo è una signora ormai matura, aveva una libreria che ha chiuso ed i libri sono tutti ammassati in un garage.
Ha un padre che non c’è più da chissà quanto tempo.
Non ha parenti, non ha amici, quelli che le rivolgono la parola ricevono solo folate di vento freddo, perché pare abbia timore di tutto ciò che sta fuori il suo metro quadrato.
“Con il passare del tempo cominciava a sentirsi come una pianta grassa, in perenne apnea dietro a un involucro molle, mai del tutto sufficiente a se stesse, sotto centinaia di spine”.
Un racconto avvolto da un velo di delicatezza che trasforma l’apparente fragilità in vibrante energia.