L’efferato omicidio di Giulia Cecchettin da parte dell’ex fidanzato, Filippo Turetta, ha innalzato uno tsunami di sentimenti, pensieri, riflessioni, e pure di critiche, invettive, fino addirittura a prese di posizione politiche. Più che ogni altra cosa, forse, ha innescato paura. Paura che ogni “bravo ragazzo” in realtà sia sotto sotto un mostro. Paura che la violenza sulle donne sia sempre dietro l’angolo, che in Italia vi sia “un’emergenza femminicidio”.
I media hanno contribuito e contribuiscono grandemente a questa “atmosfera”. Solo ieri, tanto per fare un esempio, Open, ci “informava” dell’ennesimo “femminicidio” che sarebbe avvenuto a Fano, con lo strangolamento di una 66enne da parte del marito 70enne.
Ma è davvero così? Siamo di fronte a un’emergenza femminicidio nel nostro Paese? E quali sono i numeri del fenomeno? Senza farci prendere dal panico, guardiamoli assieme.
La presunta “emergenza femminicidio”
La prima cosa da fare è sgomberare il campo da questa bufala, fin troppo narrata o data a intendere in questi giorni: non c’è alcuna “emergenza femminicidio” in Italia.
Sono i numeri dell’Istat e del Ministero dell’Interno, rinvenibili nei reports, a mostrarlo. E questo poiché, prima che ogni altra cosa, l’Italia, quando si parla di omicidio in generale, è uno dei paesi più sicuri nemmeno in Europa ma nel mondo. Piaccia o non piaccia a Chiara Ferragni che a seguito della lettera di Elena Cecchettin, sorella di Giulia, si era subito affrettata a commentare superficialmente (forse meglio dire demagogicamente) che per le donne, qui in Italia, non ci sarebbe “un posto sicuro”.
Ma vediamolo in concreto. Nel febbraio 2021 l’Istat ha pubblicato un documento riferito al periodo 2018-2019 che, già dal titolo, non lascia dubbi: L’Italia è uno dei paesi più sicuri al mondo per il rischio di essere vittime di omicidio volontario. Nel 2019 si sono verificati 315 omicidi, di cui di 111 di donne. 101 di questi (ovvero il 91% degli omicidi di donne), sarebbero ‘femminicidi’ (ma il sarebbero è d’obbligo e ci torneremo a breve).
Questi numeri sono pressoché uguali a quelli degli anni precedenti e successivi, con qualche lieve oscillazione, che evidenzia da un lato una costante diminuzione delle uccisioni in generale (è iniziata dal 1991, anno di picco, dove si verificarono ben 1.917 omicidi), e dall’altro un moderato aumento degli omicidi in ambiente familiare:
- 2017: 357 omicidi in totale di cui 123 di donne;
- 2018: 345 omicidi in totale, di cui 133 di donne;
- 2020: 285 omicidi in totale, di cui 118 di donne;
- 2021: 303 omicidi in totale, di cui 119 di donne;
- 2022: 319 omicidi in totale, 125 di donne
Quali sono i numeri del 2023? Stando al Ministero dell’Interno dal 1 gennaio 2023 al 19 novembre 2023 si sono verificati in Italia 295 omicidi totali, di cui 106 di donne. Quanti di questi sono classificati come ‘femminicidi’? E’ qui che iniziano i problemi.
Prima di affrontarli è bene però dirlo chiaramente: essendo che i numeri 2023 sono simili a quelli del report Istat sul 2019, si può solo concludere che l’Italia è ancora uno dei paesi più sicuri nel mondo per quanto riguarda gli omicidi volontari, e che se in quell’anno le cifre di omicidio femminile in generale e di presunto ‘femminicidio’ non davano adito a nessun allarme, non c’è ragione per cui quelle invece del 2023, al momento persino inferiori, dovrebbero farlo.
Il numero di femminicidi nel 2023
Guardiamo adesso il numero dei presunti femminicidi 2023 in Italia, partendo però da quanto hanno raccontato i giornali. La Stampa ha parlato di “100” femminicidi dal gennaio 2023. Ansa di “77”. Il Giornale è invece “volato basso” con “39” vittime di femminicidio nel 2023. Infine si può citare il Tempo che ha descritto l’omicidio della 66enne di Fano Rita Talamelli come il “106° femminicidio” dell’anno. Si potrebbero fare tantissimi altri esempi, analoghi. Ma già questi bastano a evidenziare che c’è qualcosa che non torna, e vistosamente: perché da “39” a “106” c’è una bella differenza.
Chi di loro ha riportato il numero corretto dunque? Nessuno, questa è la realtà. Ma alcuni hanno palesemente sbagliato, come Il Tempo o come La7, che hanno fatto passare il numero totale degli omicidi femminili del 2023, “106”, come invece quello dei femminicidi. Dovrebbe essere arcinoto che ‘femminicidio’ non descrive l’omicidio di una donna in generale. E’ invece un sottoinsieme molto particolare e specifico di omicidio femminile.
Una simile confusione, registratasi non solo fra le pagine di giornale ma pure sulle bocche e le pagine social di politici, opinionisti, attivisti, e in sostanza di tutti coloro che hanno sciacallato sull’omicidio di Giulia Cecchettin, deriva da due cose principalmente. Dall’inesistenza di una definizione chiara e univoca di cosa sia un femminicidio, argomento che non può essere trattato ora, ma che lo sarà in un altro articolo ad hoc, e da un modo approssimativo o ideologico di interpretare i dati.
Riprendiamo quindi in mano l’analisi sul 2023 del Ministero dell’Interno. Cosa dice sul numero di femminicidi? Non dà un numero. Dice che di quelle “106” vittime, che ricordiamo essere il numero riferito agli omicidi di donne in generale, “87” sono state uccise in contesto familiare/affettivo, e che “55” di queste 87 hanno trovato la morte a causa di un partner o un ex partner. Perché non parla apertamente di ‘femminicidi’?
Una buona risposta la troviamo sul sito dell’Istat. Sin dal già citato report sul 2019 è specificato che a causa della varietà nella definizione e dell’assenza di una normativa, non è facile identificare a livello statistico i femminicidi. Questo non significa solo che potrebbero essere di più di quelli contati, ma anche che alcuni di quelli presunti potrebbero non esserlo. Tra le variabili statistiche essenziali con cui attualmente si tenta di trovarli ci sono:
- le caratteristiche della vittima e dell’autore;
- la loro relazione;
- la motivazione di genere dell’omicidio;
- la precedente storia di violenza domestica e le precedenti sanzioni avute dell’autore;
- il contesto;
- il modus operandi in cui si è verificato l’omicidio.
Facendo riferimento a queste variabili, nel report sul 2019 l’Istat dice che “93” dei 111 casi già visti “possono” essere classificati come femminicidi. Più eventualmente altre 8 vittime di età superiore ai 65 anni poiché, data la vulnerabilità di questa categoria, da alcuni sono considerati femminicidi. Quindi si giunge al già citato totale di 101 casi per il 2019.
Tuttavia aggiunge che:
Purtroppo allo stato attuale non si hanno a disposizione altri dati che possano definire se si è in presenza di un omicidio motivato dal genere: violenze sessuali pregresse o contestuali all’uccisione, lo sfiguramento del corpo, l’accanimento nella dinamica dell’uccisione (modus operandi) o ad esempio l’associazione con altri reati come lo sfruttamento sessuale o lavorativo della vittima o il favoreggiamento o induzione alla prostituzione o l’attività di prostituta della vittima.
Dunque quei 101 casi di femminicidio sono solo presunti. E la stessa cosa vale per i “39”, i “77” o i “100” del 2023. In assenza di informazioni, a ben vedere più che fondamentali, come ad esempio il movente dell’omicida o il modus operandi, non è possibile stabilire se effettivamente si sia di fronte a un femminicidio o no. E non è difficile da comprendere il perché.
Non basta che un omicidio si sia verificato in ambito familiare (che, chiariamolo, significa anche per la mano di un genitore o un fratello) o che l’omicida sia stato un partner o un ex partner per concludere che allora il movente sia “di genere”. Come ad esempio non basta il semplice dato che la vittima sia donna e over 60. Proprio come nel recente caso della 66enne di Fano, la già citata Rita Talamelli, che da giornali come Open, sulla base del nulla, hanno automaticamente ascritto fra le vittime di femminicidio.
Conclusione
Stando ai dati del Ministero dell’Interno e dell’Istat, non c’è ragione di credere o sostenere che in Italia vi sia “un’emergenza femminicidio”. Più che un’emergenza purtroppo, data anche la virata politica che da un certo momento in poi è stata al caso di Giulia Cecchettin, si ha l’impressione che si sia innescata una macabra quanto cinica “ansia di femminicidio”, dove, per fini ideologici o tornaconto politici, non si aspetta altro che l’ennesima vittima da conteggiare. A prescindere dai fatti. Solo per portare sangue al proprio mulino.