Quali sono le prove che Imane Khelif sia “intersex”? E’ una domanda fondamentale, che dovrebbe far capolino nella mente di tutti coloro che, un minimo, hanno seguito le Olimpiadi di Parigi 2024. Specie in quella dei giornalisti. La “notizia” è spuntata all’improvviso, proprio nel momento in cui “l’atleta algerina” stava per lottare contro l’italiana Angela Carini. E ha avuto una forza notevole, shockante.
E non è stata l’unica “notizia” scoop comparsa. Contemporaneamente, gli stessi mezzi di informazione che la pubblicavano parlavano anche di una “malattia” di cui “soffrirebbe” Khelif, che provocherebbe una maggior produzione di testosterone rispetto alla media delle donne: l’iper-androgenismo femminile. Ma veniva scritto anche che avesse la sindrome dell’ovario policistico, tanto per citarne un’altra.
Sembrerà assurdo, ma da quando queste ed altre “rivelazioni” sono apparse sui giornali ancora non è chiaro quale ne sia la fonte. Non è chiaro se derivino da dichiarazioni ufficiali, da documenti, da analisi medico-scientifiche: in sostanza da dati obiettivi sulle caratteristiche biologiche dell’ “atleta algerina”. Oppure se si tratti solo di teorie, di ipotesi, o, nel peggiore dei casi, di “narrazioni” giornalistiche. Eppure, forse proprio a causa dell’impressione emotiva che hanno suscitato, sono state non solo rilanciate da tutti i giornali, ma anche percepite in automatico come “vere”, senza molta riflessione.
Allo stesso tempo è emerso un altro atteggiamento giornalistico, di segno opposto, riguardo l’IBA, la International Boxing Association, e i test condotti durante gli scorsi Mondiali di boxe a Nuova Delhi, che avevano portato alla squalifica di Imane Khelif. Nonostante ci siano dichiarazioni del presidente, il russo Umar Kremlev, verbali, comunicati stampa ecc., e quindi in sostanza fonti, i risultati di tali test vengono ignorati, messi in discussione o direttamente etichettati come falsi. Sono due comportamenti giornalistici “anomali” che entrano in contraddizione fra di loro, e che fanno sorgere diversi punti interrogativi. Vediamolo nello specifico riportando alcuni casi.
“Intersex” ma senza un dato
- “Imane Khelif, chi è l’atleta intersex e perché stata ammessa dal Cio alle Olimpiadi“, Il Messaggero
- “Incontro fra la pugile intersex Khelif e l’italiana Carini, Abodi protesta“, Huff Post Italia
- “Khelif è una sorella: l’Algeria difende la sua pugile intersex“, la Repubblica
Sono solo alcuni degli articoli di giornale comparsi nei giorni scorsi, ed hanno tutti una cosa in comune. Presentano la presunta intersessualità di Imane Khelif (ma non solo, anche la condizione di iper-androgenismo ad esempio) come un fatto, senza tuttavia riportare né un dato né una fonte che lo avvalori. La Repubblica in particolare è stata “sfacciata” in questo. In un articolo comparso lo scorso 1° agosto si legge:
Si chiama Imane, è una pugile algerina, è una donna, ha una malattia (l’iperandrogenismo) che le causa livelli di testosterone più alti del normale […] – ha scritto il giornale.
Quali sono tuttavia le prove di questa presunta “malattia”? Ci sono documenti medici o scientifici che la attestano? Una qualche autorità lo ha dichiarato? Non è dato saperlo e il giornale non si pone minimamente questo problema. L’unico momento in cui nell’articolo si accenna a “documenti” è per “dimostrare” che Khelif non sarebbe un uomo.
[…] Imane Khelif non è mai stata un uomo. Repubblica ha avuto accesso a diverse fonti e ha consultato atti che parlano chiaro: i documenti sportivi, ma anche i passaporti depositati al Cio da un paese, l’Algeria (che tra le altre cose non consente nemmeno il cambio di sesso), certificano che Khelif è una donna. Punto.
Repubblica quindi dice di aver visionato prove, non scientifiche, almeno del fatto che Khelif sarebbe una “donna”. Non però di altro a quanto pare. E in realtà queste “prove” non mettono esattamente il “punto” come scrive il giornale.
Nei giorni scorsi sul sito del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, è stato pubblicato un comunicato stampa dove si spiegava che gli atleti, e quindi anche Khelif, sono stati ammessi alle categorie maschili e femminili delle Olimpiadi 2024 senza alcun test di verifica ma solo sulla base dell’età e del “genere” trascritto nei loro passaporti. Non vi si parla di “sesso”. Non è quindi del tutto chiaro se il passaporto in questo caso indichi effettivamente il sesso della persona o piuttosto l’identità di genere.
Affermare poi con certezza come fa Repubblica che Khelif sia una donna entra contrasto con l’altra affermazione, altrettanto certa secondo il giornale, che invece sia intersex. Delle due l’una. Se infatti l’atleta fosse intersessuale non sarebbe esattamente una “donna” ma una persona con caratteristiche di entrambi i sessi. Inutile dire che tali affermazioni entrano ancora più in contrasto con quanto anno scorso aveva dichiarato Il presidente dell’IBA Umar Kremlev riguardo Khelif e l’atleta Lin Yu-ting:
“Based on DNA tests, we identified a number of athletes who tried to cheat by posing as women.The test results showed that they had XY chromosomes. These athletes were excluded from the competition […]”.
L’eventuale presenza di cromosomi XY non esclude per forza la possibilità che “l’atleta algerina” abbia caratteristiche biologiche particolari. Ma per sostenere questa possibilità “alternativa” ci vogliono informazioni certe, dati. Prove in sostanza. In loro assenza tali cromosomi indicano che probabilmente siamo di fronte a un atleta maschio.
Spiega questo Repubblica? No. Quando nel pezzo in questione arriva il momento di parlare per l’appunto dell’IBA e dei test scientifici condotti per i Mondiali di Boxe 2023 il giornale grida alla bugia.
Il presidente dell’IBA, il russo Umar Kremlev aveva detto all’agenzia di stampa russa Tass che la pugile non era una donna: “Abbiamo trovato cromosomi XY nelle sue cellule”, facendo intendere quindi che fosse nata uomo. Una bugia: Imane soffre di iperandrogenismo, cioè ha una maggiore presenza di testosterone nel corpo. Un caso raro, ma non unico. Del quale si è molto dibattuto nel mondo dello sport, e si continua a farlo. Ma che nulla ha a che fare con il cambio di sesso.
Cioè: abbiamo un’autorità sportiva, magari per alcuni “controversa”, ma pur sempre a capo di un’organizzazione importante, che è giunta a una decisione molto forte sulla base di test scientifici. Che parla pubblicamente di cromosomi maschili XY rinvenuti nelle cellule di Khelif. Per Repubblica però la possibilità che questo significhi che l’atleta sia un uomo non esiste a priori, senza una ragione precisa. E’ invece in automatico vero che l’atleta “soffra” di “iper-androgenismo”, però in totale assenza di dati o fonti che lo indichino.
Uno dei pochi giornali che hanno parlato della controversa questione in modo sobrio è Fanpage. In questo articolo, senza assolutismi o verità in tasca, si scrive che Imane Khelif “sembra rientrare nel caso di una particolare condizione medica, quella delle persone intersex o intersessualità (sebbene lei non lo abbia mai dichiarato ufficialmente)“.
“Non ci sono prove di cromosomi XY”
Un singolare esempio di “due pesi e due misure” per quanto riguarda le prove e le fonti nel caso di Imane Khelif, è quello di David Puente. Il “fact-checker” di Open è intervenuto sulla questione in primis con alcuni post facebook. In uno scrive:
Quanto a Imane Khelif, pugile algerina, non ci sono prove che dimostrino che sia trans o che abbia i cromosomi XY. Si parla di iperandrogenismo femminile, che porta a livelli elevati di testosterone, riducibili farmacologicamente. In Algeria essere trans è pericoloso, molte scappano e chiedono protezione internazionale, figuriamoci rappresentare il proprio Paese. I media algerini mostrano foto di Imane da piccola per confermare il suo sesso femminile, come indicato nei documenti di identità. Alcuni sostengono che l’IBA l’abbia squalificata ai mondiali del 2023 per la presenza di cromosomi XY, ma un verbale della stessa IBA mette in dubbio questa tesi, poiché non è stata resa nota la tipologia di analisi.
In modo analogo a Repubblica quando si tratta della tesi che Khelif sia trans, Puente la scredita a priori, sostenendo che non ci siano prove né che lo sia né, addirittura, che abbia cromosomi XY. Quindi in un certo senso arriva a mettere pure in discussione la veridicità dei test dell’IBA. Quando invece si tratta della tesi che Khelif abbia una forma di iper-androgenismo, Puente non si pone minimamente la questione di reperire fonti scientifiche o prove che lo sostengano. Dice solo che “si parla di iper-androgenismo”.
Senza soffermarsi troppo sull’argomento che qui porta “sull’Algeria pericolosa” per trans, puramente retorico, e sulla presunta foto di Khelif “da piccola”, che non conferma obiettivamente a quale sesso appartenga, si possono dire due cose riguardo “le prove”.
La prima è che l’assenza di prove non è una dimostrazione. Quindi se non ci sono prove della tesi che Khelif sia trans non significa che sia falsa né che il suo contrario o un’altra tesi, per che esempio sia donna o intersessuale, allora sia vera. Inoltre il fatto che in un verbale (è disponibile sul sito dell’IBA come allegato a questo comunicato stampa) l’IBA non abbia reso noto il nome del test con cui ha accertato che Khelif ha cromosomi XY (aspetto su cui Puente si sofferma moltissimo, ci fa anche un intero articolo come vedremo a breve) non implica che allora non ce ne siano prove. I test, almeno in teoria, esistono. Solo una verifica scientifica del loro contenuto potrebbe permettere di concludere che “non ci sono prove” che “l’atleta algerina” abbia cromosomi XY.
“Non ci sono prove che sia transessuale”
Giorni dopo la pubblicazione dei post, Puente è intervenuto sulla questione anche con un articolo su Open dal titolo “Cosa c’è di strano nel verbale dell’IBA sulla squalifica di Imane Khelif e perché non conferma che sia “trans“. Un intero articolo dedicato a “dimostrare” che “non ci sono prove” che “l’atleta algerina” sia trans. In questa sede non ci interessa analizzare a fondo ciò che Puente ha scritto sull’IBA. Ma solo notare una cosa curiosa.
L’atleta algerina Imane Khelif – scrive Puente – è stata accusata ingiustamente di essere una transessuale. Le prove? Nessuna. Non esiste alcun documento o test che dimostri che sia un uomo che abbia completato la transizione.
C’è un enorme problema di uso delle parole qui, e di presentazione giornalistica della questione. Mentre nei post precedenti Puente parlava genericamente di “trans”, adesso scrive “transessuale” e quindi modifica la natura del problema in oggetto. Le prove che mancherebbero ora diventano quelle che Khelif abbia effettuato o completato il cambio di sesso da uomo a donna. Non ci siamo soffermati prima, ma anche su la Repubblica avveniva lo stesso e veniva detto che in Algeria “non è consentito il cambio di sesso”.
Dovrebbe invece essere arcinoto che la condizione di “trans” può declinarsi in più modi. Ci sono persone per cui la questione è il sesso, denominate per l’appunto transessuali, che scelgono anche di cambiarlo chirurgicamente. Ma ci sono anche e soprattutto persone per cui la questione è la così detta “identità di genere“, i transgender, che si identificano o si sentono di appartenere al “genere” opposto e che possono pretendere di esservi incluse senza alcun intervento chirurgico.
Un esempio concreto e recente, di cui anche Open naturalmente ha parlato, è quello di tale “Manuela” (un uomo) che ha preteso e ottenuto nel 2023, con una sentenza del Tribunale di Trapani, che gli venisse riconosciuta “l’identità di genere”, permettendogli di cambiare nome e sesso nei documenti di identità senza aver conseguito né terapia ormonale né intervento chirurgico. Risulta veramente difficile quindi pensare che Puente non conosca la differenza fra transessuale e transgender. Che abbia quindi di proposito “giocato” coi termini? Per far escludere in automatico ai lettori alcune possibilità?
Viene da sé che Khelif potrebbe tranquillamente essere transgender e non aver quindi mai iniziato un percorso di transizione e nemmeno mai pensato di farlo. Richiedere, ai fini della “dimostrazione” che sia trans, prove del cambio di sesso è dunque fuorviante.
Anche Open “accusava” Khelif di essere trans
Lo si è appena visto. Nell’incipit riportato dell’articolo, Puente sostiene che Khelif sia stata “accusata” di essere transessuale senza prove. Si riferisce chiaramente alla “destra” che, secondo molti giornali di “sinistra”, avrebbe preso di mira l’atleta. Tuttavia anche questo modo di presentare la cosa giornalisticamente risulta problematico.
Prima di giovedì 1° agosto 2024 moltissimi giornali, sia nazionali che internazionali, parlavano senza problemi di Khelif come di una trans. Un esempio? Proprio il giornale per cui scrive David Puente, in questo articolo di Open del 30 luglio 2024.
Dopo una breve sintesi delle vicende dell’atleta dell’Algeria, Open pubblicava che: “Nel pomeriggio di lunedì il CIO – la International Olympic Committee – ha confermato che le due atlete transgender – ovvero Khelif e la taiwanese Lin Yu-tin – potranno comunque partecipare“. Quindi anche Open “accusava” l’atleta di essere una trans? Tra l’altro si nota l’uso proprio della parola “transgender” qui e non “transessuale”. Assumendo per un secondo che la condizione di intersex in Khelif sia reale, com’è possibile che un giornale come Open non disponesse di informazioni in merito sin dall’inizio? E che invece, evidentemente, disponesse di altre che descrivevano l’atleta come transgender?
Nessun “esperto” ha visionato dati medico-scientifici su Khelif
Sulle pagine di giornale sono comparsi anche i pareri di “esperti”, biologi, psicologi, sessuologi, e via dicendo, interpellati dai giornalisti per parlare dell’intersessualità di Khelif. Il loro parere ha rafforzato l’idea che “l’atleta algerina” sia effettivamente intersex, o che “soffra” di iper-androgenismo, o altro. Il problema è che nessuno di questi esperti ha parlato della questione con cognizione di causa, visionando dati medico-scientifici. In sostanza hanno commentato il caso solo sulla base di ciò che ne avevano appreso sui giornali. Si possono fare alcuni esempi.
- Silvia Camporesi, bioeticista. In un’intervista del Corriere della Sera sostiene che Khelif sarebbe “senza dubbio” una donna. “Da quello che leggo – ha detto al Corriere – è una persona con ‘variazioni delle caratteristiche del sesso’ Vcs/Dsd, che possono comportare anche iperandrogenismo, cioè una produzione di ormoni superiori a una ipotetica media femminile. Capita per diversi fattori“. Come esempio di fattore, si può leggere nell’intervista che l’esperta porta la “sindrome dell’ovario policistico”.
“Da quello che leggo” non lascia spazio a molti dubbi. Camporesi parla del caso solo in base a ciò che è stato scritto sui giornali, senza effettivi dati alla mano su Khelif. Di fatti quello che fa è solo fare ipotesi sulla premessa, in realtà da confermare, che “l’atleta algerina” sia una persona con Vcs/Dsd. Come si vede la “malattia” dell’iper-androgenismo, che per Repubblica è una certezza, qui viene tirata in ballo come una possibile spiegazione, non come un fatto. Lo stesso vale per la sindrome dell’ovario policistico.
- Bruno Dallapiccola, genetista. Il Professore ha parlato in un’altra intervista, sempre de Il Corriere. Oltre a chiarire subito di non aver visto direttamente la documentazione medica di Khelif, prova a fornire un’ulteriore ipotesi: quella della sindrome di Morris. “Posso avere un’idea relativa – ha detto Dallapiccola al Corriere – non avendo visto le cartelle cliniche. Da quello che ho visto, potrebbe trattarsi di una persona con sindrome di Morris, cioè una femminilizzazione testicolare. Colpisce una su 30 mila circa“.
“Da quello che ho visto potrebbe trattarsi…“. Come Silvia Camporesi, anche Dallapiccola traccia delle ipotesi sulla base di ciò che è comparso sui giornali. Non le riporta come fossero dei fatti accertati riguardo Imane Khelif.
Il CIO ha cambiato le regole appositamente per far gareggiare i trans
In conclusione è importante notare che sebbene sia di notevole importanza giungere a capo della questione della presunta intersessualità di Imane Khelif, dato il trambusto mediatico, il coinvolgimento, almeno “morale”, della politica, e il contrasto oramai evidente fra IBA e CIO, non è tuttavia questo il vero punto. A prescindere da “cosa sia” Khelif, il CIO ha infatti cambiato le regole di accesso alle Olimpiadi appositamente per permettere ai transgender di gareggiare nelle categorie maschili o femminili in base a come essi “si identificano”. In rete lo si può leggere tranquillamente.
Già nel 2016 era possibile leggere questo articolo de Il Fatto Quotidiano: “Olimpiadi aperte ai transgender: nuove regole CIO, basterà controllare il livello ormonale“.
Articolo dove oltre a ritrovare le basi dell’attuale meccanismo di ammissione del CIO (si dice infatti chiaramente che non saranno più necessarie operazioni chirurgiche né terapie ormonali ma semplicemente un controllo del testosterone), si dice apertamente che “adesso” i transgender (non i transessuali, attenzione) “avranno il diritto di gareggiare liberamente nelle gare del genere a cui sentono di appartenere”. E anche che mentre prima nello sport era il sesso biologico a prevalere “sull’identità di genere”, con questa “svolta storica” avverrà evidentemente il contrario. Parola del CIO:
“Dobbiamo assicurare il più possibile che gli atleti transgender non siano esclusi dallo sport. Il Cio deve garantire la correttezza delle competizioni, ma per far ciò non è necessario pretendere dei cambiamenti anatomici, incompatibili con lo sviluppo della legislazione e con diritti umani”.
Quindi sorge una domanda: quale senso ha tutto quello che abbiamo visto in questi giorni? Chi, senza alcuna prova, sostiene con forza che Imane Khelif sia intersex sembra concentrarsi troppo su un caso specifico per distogliere l’attenzione dal vero problema. Sembra quasi far intendere che far gareggiare donne transgender (ripetiamolo: non transessuali), cioè uomini che “si identificano in donna”, contro donne effettive, non potrebbe succedere, e che non sia l’orientamento del CIO. E invece è proprio questo.
Prima o poi ci sarà un “altro Khelif”. Magari un “Khelif” che dichiaratamente, pur essendo biologicamente maschio, “si sentirà” donna, e che vorrà quindi gareggiare come donna contro altre donne. E il CIO, con le attuali regole, glie lo permetterà. E’ questa la cosa di più importante di cui dobbiamo parlare.