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Sicurezza dei vaccini COVID-19 nei pazienti con malattie autoimmuni, con problemi cardiaci e nella popolazione sana

di Stefano Pezzola

Nuovo interessante studio redatto dal Centro Nazionale per la Ricerca e la Valutazione dei Farmaci, Istituto Superiore di Sanità dal titolo “Sicurezza dei vaccini COVID-19 nei pazienti con malattie autoimmuni, nei pazienti con problemi cardiaci e nella popolazione sana” e pubblicato il 2 febbraio 2023 su Pathogens, una rivista internazionale peer reviewed ad accesso aperto di agenti patogeni e interazioni patogeno-ospite pubblicata mensilmente online da MDPI.
Fonte:
https://www.mdpi.com/2076-0817/12/2/233
Clicca sotto per scaricare lo studio integrale in formato pdf
Pathogens 2 february 2023
Ricorda il prof. Roberto Paganelli, redattore accademico dello studio, che “la malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) è stata una sfida per il mondo intero dall’inizio del 2020 e i vaccini COVID-19 sono stati considerati cruciali per l’eradicazione della malattia. Invece di produrre vaccini classici, alcune aziende hanno puntato a sviluppare prodotti che funzionano principalmente inducendo, nell’ospite, la produzione della proteina antigenica di SARS-CoV-2 chiamata Spike, iniettando un’istruzione basata su RNA o una sequenza di DNA. Qui, miriamo a fornire una panoramica del profilo di sicurezza e degli effettivi effetti avversi noti di questi prodotti in relazione al loro meccanismo d’azione. Discutiamo l’uso e la sicurezza di questi prodotti nelle persone a rischio, in particolare quelle con malattie autoimmuni o con miocardite precedentemente segnalata, ma anche nella popolazione generale. Discutiamo la reale necessità di somministrare questi prodotti con effetti a lungo termine poco chiari alle persone a rischio con condizioni autoimmuni, così come alle persone sane, al momento delle varianti di omicron. Questo, considerando l’esistenza di interventi terapeutici, attualmente valutati molto più chiaramente rispetto al passato, e la natura relativamente meno aggressiva delle nuove varianti virali”.
Occorre premettere che gli autori non dichiarano alcun conflitto di interessi.
Nelle conclusione gli autori affermano che “la panoramica sugli eventi avversi del vaccino COVID-19 e COVID-19 non mira a discutere l’efficacia dei vaccini COVID-19 contro le varianti originali e le prime varianti di SARS-CoV-2, poiché tale efficacia è stata documentata dalle pubblicazioni al primo lancio dei vaccini genetici. Pubblicazioni hanno mostrato protezione dalla morte e dalla malattia grave dopo due mesi dalla somministrazione del vaccino. Diversi studi hanno documentato un rapido calo dell’efficacia di queste sostanze, calo che è più evidente dopo la diffusione delle diverse varianti di Omicron. Poiché molti studi indicano che le varianti virali effettive sono meno letali e che esistono terapie efficaci per trattare la malattia COVID-19, questo potrebbe essere il momento giusto per rivedere il rapporto rischio/beneficio di questi interventi farmacologici. Ora un ulteriore fattore, che mancava al momento dei primi studi di efficacia, è che un gran numero di persone sta acquisendo naturalmente l’immunità anche attraverso le infezioni, comprese le infezioni pauci-sintomatiche. Pertanto, al momento, può essere possibile e utile riflettere sugli eventi avversi documentati di questi vaccini basati sui geni. Un piccolo studio, dopo aver analizzato i dati della Health Security Agency del Regno Unito, ha rivelato che il tasso di mortalità nelle persone non vaccinate (per cause non COVID-19) era inferiore a quello osservato nelle persone che avevano ricevuto almeno una dose di vaccino COVID-19. Un recente documento dell’Office for National statistics nel Regno Unito  riporta i dati di mortalità per COVID-19 e per tutte le cause escluso COVID-19 al momento della campagna vaccinale COVID-19. Un’analisi statistica accurata e trasparente di tali dati, che dovrebbe tenere conto di tutte le variabili coinvolte, può chiarire gli effetti reali dei vaccini genetici. Ad esempio, se si verifica più morte nelle persone vaccinate, si dovrebbe tener conto del fatto che, tra queste persone, ci sono molti pazienti a rischio e anziani. Un’analisi dovrebbe essere condotta con consapevolezza di questo pregiudizio e dovrebbe dividere i casi in diverse classi di età stimando la percentuale di persone a rischio nella popolazione più colpita”.
Gli studiosi continuano evidenziando che le somministrazioni ripetute, fino a quattro o cinque e più, non sono state incluse negli studi clinici dei produttori di vaccini, quindi l’intensità e la frequenza degli eventi avversi possono ora cambiare di fronte a un’infezione che ha una mortalità attuale paragonabile o addirittura inferiore a quella dell’influenza. Non sono disponibili grandi studi sull’uomo su prodotti mRNA aggiornati, che codificano per due tipi di proteine Spike allo stesso tempo, per quanto riguarda la protezione dalla malattia. In un recente rapporto, l’immunogenicità del vaccino bivalente è stata studiata dopo 28 giorni, ma la valutazione della sicurezza si è fermata al giorno 7. Rispetto ad altre varianti, la variante Omicron ha almeno tre volte più affinità per ACE2 (l’affinità si basa sull’interazione della proteina Spike con il suo recettore). Ciò può influenzare la funzione di ACE2 in modo più forte dopo l’inoculazione, quando diverse molecole Spike del tipo Omicron vengono tradotte e diffuse in tutto il corpo. Un articolo in preprint ha analizzato, fianco a fianco, le reazioni avverse al vecchio vaccino bivalente tra 76 operatori sanitari e ha trovato più reazioni e una maggiore incapacità di lavorare dal vaccino bivalente. Altri e più precisi studi sono necessari per i vaccini bivalenti e precedenti”.
L’accurato studio è stato redatto da un gruppo di studiosi coordinati da Loredana Frasca, PHD Researcher presso Istituto Superiore di Sanità (ISS).

In relazione all’articolo “Safety of COVID-19 Vaccines in Patients with Autoimmune Diseases, in Patients with Cardiac Issues, and in the Healthy Population” scritto da Loredana Frasca, Giuseppe Ocone e Raffaella Palazzo del Centro per la ricerca e la valutazione dei farmaci dell’Iss, pubblicato dalla rivista Pathogens l’Istituto Superiore di Sanità ha precisato in data 4 febbraio 2023 quanto segue:
– l’articolo riporta esclusivamente l’opinione personale degli autori e non rappresenta in nessun modo la posizione dell’Istituto Superiore di Sanità;
– nell’articolo si fa una rassegna parziale e arbitraria della letteratura, omettendo tra l’altro di citare i numerosi lavori pubblicati sull’argomento da parte di altri ricercatori dell’ISS e anche del loro stesso Centro. L’interpretazione dei dati presi in esame, inoltre, è del tutto personale, tanto che in alcuni casi gli autori citano studi arrivando a conclusioni opposte rispetto a quelle di chi li ha condotti;
– l’articolo è stato inviato dai ricercatori alla rivista senza seguire la procedura di valutazione scientifica richiesto delle linee guida sull’integrità della ricerca dell’Iss a garanzia della qualità scientifica del lavoro pubblicato.
Fonte:
https://www.iss.it/-/vaccini-iss-articolo-su-pathogens-non-rappresenta-l-istituto-analisi-lacunosa-e-parziale
Cosa significhi esattamente “la posizione dell’istituto” mi incuriosisce molto.
Come può un istituto che basa il proprio operato sulla scienza avere una qualsiasi posizione che non possa mutare in funzione degli avanzamenti delle conoscenze scientifiche, a costo di dover ammettere i propri errori?
Se i ricercatori hanno fatto errori tecnico-scientifici, non è un problema di “posizione“, bensì un problema epistemologico.
E’ opportuno ricordare che l’Istituto Superiore di Sanità non è un comitato di revisione.
Se ritengono che l’articolo pubblicato non sia corretto, hanno il dovere di redigere un nuovo studio che confuti con dati e numeri lo studio contestato, invitando l’editore – dopo attenta revisione – alla pubblicazione.
Preme sottolineare che l’articolo pubblicato dai ricercatori dell’ISS cita ben 211 studi a supporto e che i risultati delle nuove ricerche peer rewieved non possono e non devono conformarsi ad alcuna delle “posizioni dell’Istituto“, ovviamente.
La questione ritengo sia è molto più semplice.
Lo studio risponde al vero oppure è falso?
I dati sono attendibili oppure no?
La letteratura scientifica citata esiste oppure no?
E la risposta è altrettanto semplice e non c’entra nulla con la “posizione dell’istituto“.
La domanda chiave è e rimane soltanto una.
Chi stabilisce “la posizione dell’istituto“?
E le linee guida a quali principi rispondono?
A quello politico, economico, scientifico oppure al bene comune?
Il dato di fatto è che l’Istituto Superiore di Sanità sta accusando di incompetenza i propri ricercatori e la redazione di una delle piu’ prestigiose rivista peer rewiewed con un comunicato  in cui non entra nel merito della questione, non confutando numeri e dati e cosa ancor piu’ grave senza firmare il comunicato stesso.

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